É uno dei talenti più acclamati della nuova cucina italiana. L’uomo che ha trasformato il rito della cena in un racconto concettuale e avvincente, scatenando la curiosità della stampa specializzata e conquistando e fidelizzando clienti in tutta la Penisola e anche oltreconfine. Ma ora Alberto Gipponi, chef e patron del ristorante Dina a Gussago, ha un nuovo obiettivo: conquistare il cuore dei bresciani. Che, fino ad oggi, sono rimasti forse un po’ freddi e sospettosi nei confronti del talento pirotecnico di questo «golden boy» della new wave gastronomica nazionale, alle spalle una storia che lo ha visto passare in breve tempo da coordinatore di un ente benefico bresciano ad emergente più chiacchierato della cucina d’avanguardia. La sua è stata una vera e propria rivoluzione esistenziale che lo ha portato da autodidatta sconosciuto nientemeno che alla corte di re Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena: un passaggio formativo importantissimo, sfociato alla fine del 2017 nell’inaugurazione di Dina, locale progettato come un’installazione d’arte contemporanea (fin dalla famosa sala di decompressione all’ingresso con l’opera al neon di Jonathan Monk «Until then if not before»), diventato il ristorante-fenomeno del 2018 grazie alla sua cucina concettuale, e a piatti costruiti come un’esperienza multisensoriale diventati «cult». Come il Casoncello crudo ma cotto, l’Agnello nella Bocca del Lupo, Una Lumaca all’Improvviso (servito in un piatto con uno scivolo dal quale la lumaca precipita lentamente in una salsa di prezzemolo e porcini) o «La musica è importante…» (animella di cuore in salsa borsch servita al buio, con battito cardiaco diffuso dagli altoparlanti in sala e cliente munito di cuffia che lo isola dai rumori esterni per concentrarsi sulla masticazione). Insomma, un vero e proprio fantasista, che ha già collezionato tanti premi e riconoscimenti, ma che oggi punta a conquistare soprattutto una cosa: la fiducia dei suoi concittadini.
«Tutto quello che mi auguro è che nel post-Covid Dina possa diventare parte integrante del tessuto che la ospita – sottolinea Gippo, come lo chiamano gli amici -. Perché se è vero che abbiamo avuto grande riconoscimento a livello nazionale e in qualche caso anche fuori dall’Italia, oggi dopo tutto quello che è successo mi sento molto bresciano e vorrei abbracciare la mia città, sperando al tempo stesso che i bresciani abbraccino Dina». Una speranza coltivata a lungo, ma cresciuta durante il lockdown. Che per Gipponi si è trasformato in un momento di studio, approfondimento, riflessione. «É stato un isolamento fecondo – ammette lo chef -. In un’apparente stasi, ho in realtà pensato e sviluppato nuove idee, sia di orientamento della mia ricerca in cucina, per esempio ho studiato pasticceria, sia immaginando nuove prospettive per Dina. Le stesse che sto mettendo in pratica dal primo giugno, giorno della riapertura. Riprendendo una felice sperimentazione pre-Covid, ho reso fissa l’apertura del mezzogiorno giovedì, venerdì, sabato e lunedì, studiando una formula interessante di Business Lunch a 25 euro: quasi una proposta “iniziatica” per chi ancora non conosce la mia cucina».
Quali gli accorgimenti per garantire agli ospiti sicurezza e serenità?
«Abbiamo ridotto il numero dei tavoli, passando da 12 a 7, anche se le sale già garantivano un buon distanziamento. Inoltre abbiamo inaugurato anche il dehor: una stanza-non stanza, dove sono allestiti quattro tavoli per tutto il periodo estivo. Si tratta di un progetto, anch’esso figlio del lockdown, realizzato utilizzando materiali trasparenti che rifrangono la luce enfatizzando la sensazione di decontestualizzazione. Si tratta di una vera e propria installazione, creata in collaborazione con lo studio More, usando materiali e arredi di recupero a cui viene attribuito un nuovo valore narrativo».
Che cosa è cambiato nella filosofia di impostazione di Dina in occasione di questa specie di nuova ripartenza?
«Direi che c’è stato un upgrade di qualità a 360 gradi: è in questa direzione che mi muovo. La ricerca della qualità, non solo nelle materie prime, ma anche nel servizio in sala, anche per quanto riguarda la carta dei vini. In questo periodo, grazie alla collaborazione con il mio maitre e sommelier Alessandro Lollo, stiamo ampliando la cantina, investendo su etichette nazionali e non. Il mio studio, in ogni caso, si orienta nella ricerca di un’italianità spiccata. Il tentativo è quello di enucleare contenuti di valori italiani e condividerli con altri: dai cuochi ai fornitori. Ad esempio sto conducendo delle ricerche con Michele Valotti, chef de La Madia di Brione, sul concetto di errore in cucina. Ovvero: decodificare le tecniche classiche per poi deragliare per scoprire se, dato il canone, fuori da esso ci sia qualcosa di non esplorato, ma comunque valido».
Quali invece le novità del menù, i piatti elaborati per la ripartenza?
«Per prima cosa questa situazione mi ha dato una consapevolezza maggiore: so chi voglio essere e che cosa voglio fare più di prima. Voglio raccontare il lavoro dell’artigiano italiano, e sto lavorando su vari contenuti legati a ciò che significa fare accoglienza in Italia. Poi c’è tutta la parte dei dolci. Spero che nel giro di un mese avremo una selezione importante dei dolci della tradizione: la millefoglie, la tarte tatin, la meringata, la torta al cioccolato, una crostata di frutta, un budino». Una svolta radicale, per un locale che al momento del dessert ha sempre alzato l’asticella della provocazione con creazioni a base di cavolfiore e quaglia…
Un autodidatta alla corte di re Bottura
A tre ore dall’inaugurazione del primo locale da chef-patron, a 37 anni, Alberto Gipponi era finito in ospedale. «Una ventata d’aria aveva fatto sì che l’olio s’incendiasse». Ustioni di terzo grado alle mani, prognosi di 30 giorni e riposo assoluto. Ma poco dopo era già in cucina, per non dover disdire l’unico tavolo prenotato da una sola persona: sua moglie Angela. Del resto, forse un po’ se l’era cercata: aveva deciso di aprire il Dina, a Gussago, venerdì 17 novembre 2017. Bresciano, classe 1980, laureato in Sociologia, diventato musicista, poi assistente all’Università, quindi impegnato nel sociale, «ma sempre con un’ossessione: la cucina». Tanto che ad un certo punto decide di provare a farne il proprio lavoro. Trova posto in Friuli, stage all’Orsone di Joe Bastianich. Quindi, più vicino a casa, Da Nadia. «Il 9 aprile 2016 vado a mangiare all’Osteria Francescana», racconta. Vi lascia il cuore e anche «il racconto scritto della mia Crema di buccia di zucca», ricetta no-spreco che evidentemente colpisce Massimo Bottura. Qualche giorno dopo suona il cellulare: è lo chef modenese. Gipponi ottiene di poter fare uno stage a Modena. L’anno successivo, come detto, apre il Dina, locale che porta il nome della nonna. É l’inizio di un incredibile successo, compreso il premio come Sorpresa dell’anno per la Guida Identità Golose 2019.
Fonte: Bresciaoggi