I restauri possono a volte svelare antichi usi ormai dimenticati. Notevole in tal senso è stato il lavoro svolto dagli alpini che hanno ripristinato la torre «colombera» o «passerera» – che svetta accanto alla nuova sede delle penne nere, inaugurata di recente – chiamata così perché accoglieva soprattutto volatili di piccolo taglio. Il recupero dell’antico manufatto, utilizzato tempi addietro come punto di allevamento in libertà degli uccelli selvatici, ha permesso di individuare antiche tracce della consuetudine praticata con grandi o piccoli mezzi da molte famiglie, in passato – una struttura questa presente in molte dimore rurali padronali, nei sottotetti di case contadine o nelle cascine delle zone pedemontane e pianeggianti -, che potevano così contare su un apporto proteico gratuito. Gli uccelli, infatti, alla ricerca di luoghi protetti e caldi si intrufolavano nei piccoli fori e deponevano le uova.
Le delicate operazioni di restauro della «passerera» sono iniziate dopo i sopralluoghi avvenuti in collaborazione con la Soprintendenza, fondamentali per definire le modalità di esecuzione dell’intervento, «un’operazione di carattere conservativo – ha precisato l’architetto Giuseppe Lorenzini – garantendo il consolidamento e la durata nel tempo delle parti. La malta impiegata nella costruzione ha caratteristiche simili a quella originaria, individuata nei lacerti sopravvissuti, sia per il colore sia per la grana».
Storicamente, la colombera svolgeva una funzione vitale per la sussistenza di intere famiglie: «Costruzioni come questa di Gussago – spiega la storica gussaghese, Rinetta Faroni – avevano lo scopo di offrire alle passere domestiche e mattugie, presenti in abbondanza nelle campagne coltivate a cereali,foraggi, frutteti e vigneti, un ricovero per nidificare, sfruttando sia la loro dimestichezza con gli umani, sia la loro consuetudine di fare nidi in fori di muri, sotto tegole, in anfratti di edifici». All’interno della torretta, in corrispondenza di ciascun foro (circa 200 in tutto sono stati individuati nella torre passerera restaurata dagli alpini), spiega la studiosa a e autrice di storia locale, veniva collocato un coppo protetto da un mattone, che diventava nido per tre-quattro deposizioni all’anno di tre-sei uova ogni volta. I piccoli implumi (in dialetto «ulocc») venivano poi tolti dal nido prima che spiccassero il volo e le loro carni, altamente nutritive, utilizzate per i succulenti spiedi. «Tale pratica con relative architetture risale all’epoca di Giulio Cesare – prosegue Faroni -. Dopo i secoli di decadenza vi fu una ripresa delle coltivazioni soprattutto da parte degli ordini monastici, e ricomparvero anche queste strutture, che ebbero grande diffusione fino alla fine del 1700, secolo in cui, arricchite di elementi ornamentali, divennero elemento decorativo di abitazioni signorili agresti». Un altro patrimonio culturale è stato, così, salvato e tutelato, protetto dalle penne nere gussaghesi.
Federico Bernardelli Curuz
Fonte articolo Giornale di Brescia
Per approfondire:
– fotogallery inaugurazione sede Alpini