Antico lavatoio di via Trieste, scorre l’inciviltà

Scorcio del "Lavatoio" di via Trieste
Scorcio del “Lavatoio” di via Trieste

A Gussago, la struttura ottocentesca, dopo il restauro degli scorsi anni è ora vittima dell’incuria. Il sindaco: maggiori controlli per tutelare la zona.

Un luogo storico di Gussago preso d’assalto dalla maleducazione e dall’inciviltà. E così il Comune scende in campo ed intensifica i controlli sulla bella struttura ottocentesca del lavatoio di via Trieste, restaurata anni fa. Nessuno potrà più continuare trasformarla in un angolo birreria, in una discarica improvvisata o in un supporto per frasi d’amore. La costruzione, risalente al 1850 circa, era, all’epoca, punto di ritrovo per il lavoro delle donne, dal quale riecheggiavano lo sciabordìo dell’acqua e il chiacchiericcio allegro e operoso delle massaie. All’interno del lavatoio veniva fatto il bucato di piccoli panni sfruttando le banchine laterali in pietra rivolte verso la parte umida, in quanto l’acqua era usata, all’esterno, soprattutto per il risciacquo del grande bucato, lavato in precedenza con cenere e lisciva sull’aia delle cascine.

L’antico edificio, conosciuto come «La fòsa dei Giordà», aveva anche la funzione di partitore delle acque, che servivano per irrigare i campi circostanti. L’abbondanza d’acqua permetteva di mantenere irrigato un ettaro di marcita, da novembre a marzo, fino al taglio dell’erba per il foraggio; inoltre, con il contenuto di una vasca, che si riempiva di nuovo in un giorno, si irrigavano tre ettari di campi coltivati. Nell’intervento di restauro, compiuto anni fa, sono stati volutamente seguiti i criteri del moderno restauro architettonico, cercando di conservare o consolidare quanto di originario era rimasto della struttura. Per questo il Comune ha a cuore un angolo profondamente radicato nella storia del paese. Il progetto di recupero aveva interessato anche la vegetazione. Con la consulenza di un’associazione specializzata nella produzione di piante autoctone, che opera attraverso la raccolta diretta dei semi negli ambienti naturali lombardi, erano stati piantati esemplari di farnia o rovere acquatica, salix alba (dal quale si ricavavano gli stropèi utilizzati per legare i tralci delle viti), salix viminalis (ovvero il vimini che veniva intrecciato per formare ceste), carex pendula (carice, usato per l’impagliatura delle sedie), ontano nero e claudium mariscus (specie particolarmente pregiata e rara). «Accorgimenti importanti – spiega il sindaco Marchina -, che han ricostruito le atmosfere di un tempo. Per proteggere questa struttura verranno fatti dei controlli, al fine di evitare gesti che rischiano di rovinare una preziosa testimonianza storica».
Federico Bernardelli Curuz

Fonte: Giornale di Brescia

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