Batterie esauste, un valzer fuorilegge: nove persone indagate per il traffico

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La base del traffico era rappresentata da nomadi di etnia Sinti titolari di aziende di autotrasporto e di ditte per il commercio di autovetture che erano solo scatole vuote, come dimostrato naturalmente dai sopralluoghi nelle sedi fittizie delle stesse, e la cui occupazione era in realtà il recupero di batterie per autotrazione esauste; persone pronte a produrre fatture ma altrettanto pronte a non dichiarare nulla al fisco per l’attività svolta. Il livello successivo era occupato da un’azienda di Collebeato e da un’altra impresa di Gussago, la prima ufficialmente attiva nel recupero di rifiuti industriali e appunto di accumulatori, la seconda operativa con due realtà diverse nel settore della vendita dei carrelli elevatori. Il loro ruolo? A Collebeato gestivano il ritiro diretto dai fornitori Sinti e il successivo trasferimento altrettanto diretto a grandi realtà specializzate nel trattamento industriale del piombo (aziende, una delle quali bresciana, non coinvolte nelle indagini e legate a loro volta ai consorzi di livello nazionale previsti per la gestione di questi materiali), trasferimenti accompagnati da false documentazioni che attestavano invece l’origine interna dei rifiuti.

Da Gussago, invece, inviavano altri carichi di batterie, perché si occupavano clandestinamente del ritiro e dello smaltimento dei vecchi carrelli, non solo del commercio di mezzi nuovi. Un’attività che, a parte i carabinieri forestali che hanno indagato sulla vicenda arrivando a risultati importanti, non aveva a quanto pare insospettito nessuno. Nessuno, per esempio, si era chiesto come mai quello che doveva appunto essere solo un venditore di «muletti» potesse produrre quintali e quintali di accumulatori al piombo in un anno. Naturalmente, tutto il traffico avveniva aggirando le norme sulla tracciabilità dei rifiuti, con false dichiarazioni nel «Mud», il modello unico dichiarazione ambientale, e nel relativamente breve arco temporale in cui questa lucrosa attività è stata sotto la lente – gli accertamenti sono stati avviati nel luglio del 2020, ma hanno ricostruito il traffico illecito fino al 2017 – ha visto attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e intermediazione di materiali speciali e pericolosi (per la legge sono scarti tossico nocivi ed ecotossici) per la bellezza di 5.000 tonnellate. Anche se il piombo «pesa» si tratta di un quantitativo davvero ingente.

Fatti i debiti calcoli, la circolazione fuori dalle regole e la vendita delle batterie per autotrazione esauste avrebbe fruttato ai protagonisti profitti illeciti per oltre cinque milioni di euro, ma la magistratura non ha almeno per ora deciso di attivare meccanismi di recupero delle somme sottratte al fisco, per esempio bloccando i conti correnti delle nove persone denunciate dai protagonisti dell’indagine, ovvero i carabinieri forestali delle stazioni di Vobarno e di Marcheno, che hanno lavorato per questo importante risultato col supporto dei colleghi del Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale (Nipaaf) di Piacenza. Coordinate dalla pm Roberta Panico, le attività dei militari si sono formalmente chiuse nei giorni scorsi con la notifica a carico dei nove indagati della comunicazione di conclusione delle indagini preliminari della Direzione distrettuale antimafia di Brescia.

Gli indagati di etnia Sinti sono sei persone appartenenti allo stesso gruppo residente nel Piacentino, ma lo stoccaggio dei materiali raccolti prima del passaggio di mano avveniva anche in campi nomadi di Brescia, oltre che di Bergamo, Milano, Parma, Bergamo, Como, Monza, Cremona, Pavia, La Spezia, Massa Carrara, Lucca e Pisa, e da questi magazzini temporanei il piombo – e ovviamente gli involucri plastici e gli acidi – partiva verso le destinazioni citate eludendo il sistema obbligatorio di tracciabilità. La destinazione primaria era rappresentata appunto dall’azienda di Collebeato. Il titolare è stato denunciato per ricettazione insieme a un suo dipendente (quest’ultimo era incaricato di fare il «tour» dei campi nomadi con l’autocarro aziendale portando con sé formulari di trasporto falsi) in quanto principale acquirente, e per la violazione delle regole sulla sorveglianza radiometrica dei materiali. L’impresario di Gussago, titolare come detto di due ditte specializzate nella vendita di elevatori, è stato indagato anche per il recupero di veicoli fuori uso senza le autorizzazioni necessarie e per lo stoccaggio degli scarti industriali collegati in un piazzale messo sotto sequestro. Oltre che appunto per il ruolo di fornitore insieme ai nomadi. A corollario dell’operazione, nella fase di notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari i carabinieri forestali hanno effettuato altri accertamenti sull’attività delle persone indagate, e il risultato è stato rappresentato da sanzioni amministrative per oltre 40mila euro.
Paolo Baldi

Fonte: Bresciaoggi

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