Morte e dolore, sangue e lacrime, eroismo e dramma, uomo e bestia si sono dati appuntamento sul Monte Ortigara, nel giugno del ’17, luogo ove si è consumato uno dei capitoli più cruenti della Prima guerra mondiale. Una tragica pagina di storia vissuta in prima persona dal gussaghese Domenico Abeni – alpino di fanteria del V Reggimento della 6ª Armata, soldato classe 1886, morto nel 1957 -, autore del manoscritto (del quale pubblichiamo qualche estratto), recuperato, trascritto minuziosamente – dalla penna nera Franco Valetti – e pubblicato, a puntate – grazie al lavoro di contestualizzazione a cura di Andrea Gramaticopolo -, nelle prossime edizioni de «Lo spirito alpino», il semestrale del Gruppo Alpini di Gussago.
«Le truppe del battaglione – scrive Domenico Abeni – raggiungevano con mirabile slancio le difese accessorie della linea nemica e con buona fortuna ne attraversarono il primo ordine, il fuoco di preparazione delle nostre artiglierie lo aveva danneggiato, aprendo varchi in parecchi punti. Il secondo ordine di reticolati a 10 metri circa dagli elementi attivi della difesa quasi intatto, e nei punti di diminuita efficienza, battuto da violentissimo fuoco di fucilerie, di mitragliatrici e bombe a mano frenava l’impeto dello slancio e rendeva impossibile l’ultimo sbalzo e l’assalto fulmineo e deciso alla trincea nemica».
Siamo sul Monte Ortigara (nel Vicentino); il fronte – che si estende per circa un chilometro e mezzo-, vede contrapposte le truppe italiane e le truppe austriache. Per venti giorni gli alpini assaltano infruttuosamente le linee nemiche. Obiettivo: riconquistare la famigerata «quota 2105»; un’operazione disperata, una sentenza di morte per molti, tanto che il luogo in cui si consumò il dramma è oggi tristemente noto come il «Calvario degli alpini».
Ora, le gesta eroiche, e l’umanità di questi giovani ardimentosi, tornano a rivivere grazie al prezioso manoscritto, donato dal nipote, anch’egli alpino, Roberto Abeni, alle penne nere gussaghesi e che sarà pubblicato prossimamente. Le tristi vicende (come abbiamo potuto leggere anche nel breve passo) sono raccontate con grande pathos, a ritmo serrato e incalzante, dall’autore; la penna verga le pagine, annota, elabora, e trasmette il dramma, la concitazione della battaglia, le azioni intrepide. «Il manoscritto sarà un tributo alla memoria, per rendere omaggio agli uomini, per non dimenticare la tragedia, che ancora rimbomba, dalle cime del monte Ortigara».
Federico Bernardelli Curuz
Fonte: Giornale di Brescia