Claudio Zola: direttore tecnico degli Academy camp del Milan

Claudio Zola Giappone

Claudio Zola, 55 anni, a Brescia è conosciuto come difensore di vaglia di Lumezzane e Montichiari, in Serie C, tra gli anni ’90 e i primi 2000. Da un decennio è responsabile tecnico delle Milan Academy International, le squadre giovanili rossonere all’estero. Ora è in Kuwait.

Zola, da dove è iniziato tutto?
Nel 2013 mi rompo tibia e perone al torneo di calcio degli alpini. Silvio Broli, uno dei miei migliori amici, mi viene a trovare in ospedale e mi fa una proposta indecente: fare un’esperienza all’estero. Lui all’epoca è il responsabile delle Milan Academy International. Mi mette sul piatto la possibilità di versare i contributi e arrivare alla pensione, essendo tesserato. Da un anno sono pensionato.

La prima destinazione?
In Giappone, a Kanazawa. Penso di andare e tornare, rimango 5 anni e mezzo. Apro da zero l’Academy. Poi però viene chiusa.

E lei cosa ha fatto?
Nel 2018 il Milan manda a Gedda, in Arabia Saudita, ad aprirne un’altra.

E dopo l’Arabia?
Dovevo partire per l’India a settembre 2019. Ma nella zona della nostra Academy un’alluvione tremenda provoca tantissimi morti. Rinviamo l’apertura a febbraio-marzo 2020. Ma arriva il Covid, la scuola calcio parte solo nel 2022, avevo preparato tutto. Nel frattempo un collega, di stanza a Nagoya in Giappone, decide di non rinnovare l’accordo con il Milan. E il Milan ha bisogno di un tecnico che conosce già l’ambiente. Io so un po’ di giapponese, conosco la cultura e quindi mi rimandano là. Però…

Però?
Inizio a pensare ai genitori anziani, a mia moglie Angelita che da sola sta crescendo i nostri figli adolescenti, i gemelli Francesco e Sofia. Di solito parto ai primi di settembre e torno a Natale, riparto a gennaio fino a Pasqua, poi riparto e torno a fine luglio-primi di agosto. Adesso, per esempio, sono in Kuwait ed è diverso.

In che senso?
Rientro più spesso in Italia per portare i nostri ragazzi a fare le cosiddette Milan Experience, facciamo tornei internazionali. Lo scorso anno a Pasqua, con i nostri 2013, per la prima volta vinciamo il Torneo della pace a Rovereto, in Trentino. Stavolta rientrerò a ottobre per qualche giorno: festeggiamo i 18 anni di Francesco e Sofia. E in Kuwait chiudiamo ai primi di giugno per 4 mesi: fa troppo caldo per lavorare.

Torniamo alla famiglia.
A Nagoya, considerata la situazione, decido di terminare la stagione 2022-23 e non rinnovare con il Milan. Sarei rimasto se mi avessero fatto fare qualcosa in Italia. Sono nato a Brescia, vivo a Gussago. Ma a gennaio 2023 muore il mio collega Patrizio Billio, in Kuwait da 12 anni. Il Milan ha bisogno di un tecnico esperto. L’Academy nel Kuwait non è facile da gestire. Abbiamo 500 ragazzi, dai 12 ai 14 allenatori da guidare, i viaggi all’estero da organizzare per i tornei.

Come la convince il Milan?
Facendomi visitare la struttura. E mi viene data la possibilità di portare mia figlia Sofia a studiare in Kuwait. Lei fa il linguistico al Lunardi, fa il 4° anno all’estero.

Come si è trovata?
Talmente bene che concluderà il liceo in Kuwait, alla New English School. Una scelta che mette d’accordo tutta la mia famiglia.

Quali differenze tra il Giappone e il mondo arabo?
In Giappone c’è una cultura e un rispetto del lavoro persino eccessivi. Ho sempre detto ai miei colleghi giapponesi: voi vivete per il lavoro, lo anteponete anche alla famiglia; noi in Italia lavoriamo per vivere. Pensavo si comportassero in modo assurdo, ho imparato che quando vai in un Paese diverso, chi viene da fuori deve accettarne la cultura e le abitudini, non cercare di cambiarle.

Sul calcio sarà intervenuto.
Sicuro: sul campo lavoravo come in Italia e per loro all’inizio era follia. In Giappone i ragazzini aspettavano sempre l’ordine da parte dell’allenatore per tirare o passare. Io ho insegnato loro: sei tu che hai la palla, decidi tu, poco importa se sbagli. Sia i ragazzini che gli adulti in Giappone vivono in maniera drastica l’errore, lo considerano un dramma. Ho cercato di farglielo percepire come una cosa normale, che anzi può servire a crescere.

Nei paesi arabi?
È tutto molto più elastico, fin troppo. Abbiamo tanti bambini, siamo arrivati anche a 500 iscrizioni.

Un aneddoto?
In Kuwait un papà si è presentato con la maglia del Brescia, la numero 10 di Baggio: che orgoglio da bresciano!

Cosa accade nelle Academy?
Formiamo i ragazzi e partecipiamo a un campionato creato dalle Academy di Milan, Juventus e Celtic con le categorie dai 2007-2008 ai 2017. Ci si allena in settimana, si gioca il sabato.

Lei è stato anche in Arabia Saudita. Come si vive?
Quando c’ero io, le donne avevano appena ottenuto il permesso di guidare. Pure le straniere non potevano andare in giro a testa scoperta. Avrei voluto portarci i miei figli a studiare, ma le scuole erano divise tra maschili e femminili. C’erano ristoranti per single e per famiglie. L’uomo e la donna erano separati. In spiaggia niente bikini. Noi del Milan allora non abbiamo potuto usare le maglie da gioco e da riposo con la croce della città di Milano sul petto. E non esiste una Chiesa cattolica.

In Kuwait è diverso?
Totalmente. Non c’è turismo, ma finanza. Io ci sto bene, ma per un giovane è difficile: non c’è vita sociale.

I pregi di questo lavoro?
Ho girato il mondo, fatto camp estivi per il Milan a Bangkok, in Armenia, in Romania. E quest’estate sono stato un mese negli Usa.

Da calciatore è stato difensore in Serie C. Ricordi?
Lumezzane su tutti. L’altro giorno sono stato a trovare Carlo Bonomi. Lui, suo fratello Aldo, Evaristo Bertoli il mio primo presidente: grandi dirigenti e persone, bei tempi. Quando lasciai il Lumezzane, Carletto mi disse: ricordati, qui sarai sempre uno di famiglia. L’altro giorno, davanti a lui, ho provato quella sensazione.
Vincenzo Corbetta

Fonte: Bresciaoggi

RESTA SEMPRE AGGIORNATO CON LE NOSTRE NOTIZIE!

- iscriviti al canale WhatsApp di Gussago News
- iscriviti alle Newsletter di Gussago News