Come un vecchio cappotto di vigogna. Chi lo chiude in un armadio, ché ha fatto il suo servizio. Chi inteluccia la fodera lisa e torna a vestirlo, fieramente. Il passato non è per tutte le stagioni. Forse, nemmeno per tutti gli uomini. Tra quelli che sanno indossarlo bene, sta Guido De Santis. Mostreggiatura sul bavero ed etichetta in vista: è tempo di ricordare. «Corso Zanardelli n. 30 rosso. Storia di una sartoria bresciana» (Marco Serra Tarantola Editore) è il testamento di una ricerca durata oltre cinquanta anni.
Fotografie, documenti, testimonianze. Guido si ripromise di imbastire le proprie radici sui banchi di scuola, durante un tema di italiano. «È venuto dalla gavetta: il titolo del componimento. Mi prese il panico – scrive l’autore -. Poi, un lampo di genio. Perché non parlare di mio papà che, giunto dal profondo sud, si era stabilito a Brescia avviando una professione di prestigio?». Da quel giorno, complice un errore d’ortografia che smorzò gli entusiasmi letterari, l’atelier del babbo Luigi divenne parte, coi suoi cimeli, di una raccolta atavica.
Guido De Santis – nato a Padenghe, classe ’44, poliglotta e artista naïf – colleziona cose. Monete, cappelli, istantanee. «Ho passato il settanta per cento della mia vita tra alberghi e aerei, in viaggio per lavoro – racconta -. Da quando mi sono fermato, ho ripreso in mano i pennelli. E, soprattutto, le mie memorie». Questo libro – che sarà presentato il 19 giugno 2016 alle ore 17:00 nella chiesa di San Lorenzo, a Gussago, insieme ai prodotti pittorici dello scrittore – ha come sottofondo le percussioni della Singer e il fruscio della gabardine. Dal cuore della Leonessa, su tavoli tarlati da Camel esangui, i lavoranti della Sartoria Luigi De Santis confezionarono la moda per un quarantennio.
«Mio padre aprì un laboratorio anche a Lumezzane – svela Guido -. Per trovarsi costretto a chiuderlo, di lì a poco: andare a Brescia, al 30 rosso (numerazione cromatica dei civici), era sinonimo di benessere, direi… uno status symbol irrinunciabile». Le mani nere per i ditali d’ottone, il metro al collo. «La competizione fra sarto e sarto era grande. Si guardavano i reverse della giacca, stimando sviste millimetriche sui reciproci capi. Fatti per durare». Altre stoffe, altri tempi.
Alessandra Tonizzo
Fonte: Bresciaoggi