Raccolta dei detti e dei modi di dire in uso a Gussago

Integrazione all’opera principale del 2015, edita l’anno 2017 col titolo: Dètti, Modi di dire, Frasi fatte, Massime, Sèntènse dè ‘na oltå. Normalmente conosciuti ed in uso secondo la cadenza tipica gussaghese, a volte differenziata da una Contrada all’altra. (…quasi interamente attinti alla memoria personale). L’opera del 2017 è stata pubblicata – unitamente ad altri lavori del medesimo autore – in un unico volume dal titolo: GUSSAGO “scotöm” o “scötöm”; sèntense dè ‘na oltå, dètti e mòdi dè dì; löc, pòsti, sèntér, cios e posedimécc; famìe dè Nèèze 1954-’58.

A     

  • La bocå no l’è stracå sè nò la sént dè acå. La bocca non è stanca se non sa di vacca.
  • La primå aivå dè ost la rinfrèscå ‘l bòs-c. La prima acqua d’agosto rinfresca il bosco.
  • Mè zèlàt vià ‘l …piö bu dè ‘l’artició Mi è gelato il …meglio (il cuore) del carciofo. Frase allusiva o a doppio senso per dire che il soggetto ha preso talmente tanto freddo, al punto di non sentire più la presenza delle parti intime. Intime …come la parte centrale (il cuore) del carciofo che sta nascosta dalle foglie esterne o brattee. ((La bratteaè la foglia del carciofo che noi mangiamo, quella parte più tenera che poi si schiuderà per diventare un fiore. Viene chiamata impropriamente foglia anche se in realtà è più il petalo di questo ortaggio))

B

  • Non è il termine ‘beato’ riferito a donna ed in ciò ‘beate’ al plurale femminile. Anche beatìne, il nomignolo affibbiato alle donne abitualmente dedite alla chiesa e praticanti. No, proprio per nulla, anzi. A Gussago corrisponde al soprannome o scötöm/scotöm riferito ad una sola delle discendenze del casato LORENZINI, quelli che dimorarono – sino agli anni Quaranta del secolo XX – in Via Casaglio, cortile di cui al secondo portone a destra della stessa via, dopo quello dei Fabeni, una volta disceso il ponticello sul canale La Canale di, appunto, Via Casaglio. I Lorenzini, invece, dimoranti sempre a Casaglio, ma nel cortile comune con i Remulàe – Prati e gli Orizio detti Amore/d’Amore/Damore, com’erano noti? Quelli del cortile a metà Casaglio sono discendenti dell’altro fratello del nonno di Gian Battista Lorenzini (1943, operaio nell’industria meccanica) il quale – aggiungendo notizie – afferma: <<… il soprannome Beate fu assegnato soltanto a mio nonno ed a noi suoi discendenti; quegli altri, di cui vive almeno Bruno sposato Lucchi e da tempo alla casa della chiesa di San Rocco sul colle, li chiamavano soltanto Lorenzini>>. [Gian Battista Lorenzini (1943), Gussago, 28 ottobre 2020]. I SOPRANNOMI gussaghesi – edizione 20……. – sono al link > ………
  • Beatìne. Vedasi sopra
  • La bocå no l’è stracå sè…. Vedasi alla voce “A”
  • Sè ta öt miå din be, din gne/gna mal! Se non vuoi, soprattutto di una persona, dirne bene, non dirne neppure male. Lascia stare la sua reputazione per ciò che è.
  • Düra dè piö ‘n bocàl… Vedasi alla voce “D”
  • Bràs al còl, gambå a lèt. Braccio al collo, gamba a letto. Se si è ammalati, è meglio stare a letto.
  • Èl bù l-è migå chèl chè parlå dèl bé, ma l-è chèl chè la fa. ll buono non è colui che parla del bene ma è colui che lo fa.
  • Tàte òlte a fa dèl be i tè pagå a pè ‘n dèl dè dré. Tante volte a far del bene sei ripagato a calci nel sedere.
  • Büs come ‘l uzèl /usèl dè Ome. Giovane il quale non torna a casa fin quando non abbia speso tutto il denaro di cui è in possesso; per questo si troverà senza soldi, cioè sempre: Büs come ‘l uzèl /usèl dè Ome. …Con le tasche buche. Ammonimento del padre o della madre al figlio in giovane età affinchè sia parsimonioso, capace di autoregolarsi. Detto o modo di dire in uso, perlomeno, a Navezze di Gussago anche sino agli anni Sessanta del Novecento. Uzèl/usèl dè Ome = Come la località dal nome Orcello di Ome; in dialetto omese o di Barche di Brione: Ucèllo/Ucèlo.

C

  • Capacità, carismi, talenti dell’uomo/della donna. Gom miå töcc le stèse qualità; ognü i ga le sò doti! “Non omnia possumus omnes”, non abbiamo tutti le stesse doti, la stessa capacità, ma, come dice il Vangelo: “divisiones gratiarum sunt”, ciascuno ha i suoi doni, i suoi particolari privilegi. “Non omnes. Perficient superi”: assume il significato: Non è da tutti! Completino pure (facciano di meglio) gli dei (gli esseri superiori)! La locuzione latina Non omnia possumus omnes, tradotta letteralmente, significa: Non tutti possiamo tutto (Virgilio, Bucoliche VIII, 63). Questo motto è già attestato in Lucilio, fr. 218 M. = 224 K. Con questa frase il poeta evidenzia il fatto che non abbiamo tutti le stesse doti, la stessa capacità, ma, come dice San Paolo: “divisiones gratiarum sunt”, ciascuno ha i suoi doni, i suoi particolari privilegi. Talora la frase è abbreviata in Non omnes, che tradotta letteralmente significa non tutti, nel senso Non è (cosa) da tutti. Motto talora presente in alcuni stemmi di famiglia a partire dal XIII-XIV secolo d.C. Altre volte la frase Non omnes è seguita dalla locuzione Perficient superi. Quindi l’intera frase Non omnes. Perficient superi assume il significato: Non è da tutti! Completino pure (facciano di meglio) gli dei (gli esseri superiori)!
  • Gnà i cà i menå la cuå per niènt. Nemmeno i cani muovono la coda per niente.
    Ogni lavoro il suo compenso.
  • Cavallo o puledro. Nom a édèr sè l’è ‘n caàl o ‘n pulédèr. Andiamo a vedere se si tratta di un cavallo o di un puledro. Anche nella forma: Stom a édèr sè l’è ‘n caàl o ‘n pulédèr. Aspettiamo, attendiamo di vedere, come sarà, come andrà a finire.
  • Compàr. E’l compàr dè ‘l-anèl ‘l-è padrù dè meza pèl. Il compare dell’anello è padrone di metà della sposa.
  • Se pòrtòm/purtòm le nostre crus èn piasså, ognü ‘l töl sö amò la sò. Se portiamo le nostre croci in piazza, ognuno riprende la sua.
  • Qgni pè ‘n dèl cül èl trà aànti ‘n pas. Ogni pedata nel sedere porta avanti un passo.
  • Pèr Sant’Anå chi nò gha canù gha… Vedasi alla voce “S”
  • Jè i caàgn vècc chè salvå chi nöf. Sono le ceste vecchie che salvano le nuove. I consigli dei vecchi istruiscono i giovani.
  • ‘Na cà senså ècc/vècc, l’è ‘na cà senså tècc. Una casa senza vecchi, è una casa senza tetti.
  • La cosciènså l’- è come ‘l catìgol, chi la sènt è chi nò. La coscienza è come il solletico, chi la sente e chi no. Non tutti riescono a sentire la voce della propria coscienza.
  • Fà la carità col tò, nò con chèl di oter. Fa la carità con i tuoi mezzi, non con quelli degli altri.
  • La carità onestå, la va förå dè la portå, ma la turnå deter dè la finestrå. La carità onesta, esce dalla porta e torna dalla finestra.
  • Èl còrp ghe dè tignìl /mantignìl sladinàt, …come sa ga dè fa con töt ‘l rèst dèl còrp. L’intestino deve essere tenuto in dolce movimento, …come si deve fare con tutto il resto del corpo (delle restanti parti del corpo umano).

D

  • Domandàgå a l’ostér s’èl vi l’è bu! L’è come na / ‘nda a domandàgå a l’ostér s’èl vi l’è bu! Domandare all’oste se il vino è buono! È come andare a domandare all’oste se il vino è buono. Ovvio che sì, sarà la risposta! Inutile porre domande al diretto interessato che è coinvolto per interesse nella risposta.
  • Quànd chè sè nas dèsfürtünàcc, piöf söl cül a ca sta /dè sèntàcc /sentàcc. Quando si è sfortunati, piove sul sedere anche a stare seduti / da seduti.
  • Tra i dutùr dè medisinå èl piö brào l-è chi la ‘ndüinå. Tra i dottori in medicina il più bravo è colui che indovina.
  • Sè jè tancc i dutùr chè cürå ‘l malàt; sunì pör a mort che l-è bèlå è ‘ndàt /nat. Se sono parecchi i dottori che curano l’ammalato, suonate pure a morto che è già spacciato.
  • Düra dè piö ‘n bocàl crèp ché giü bù. Dura di più un boccale incrinato che uno buono.

E

  • Erbå. “”Sè ghè/ga sarà dè ‘l èrba faróm dèl fe!””, anche, “”Sè ghè/ga sarà ‘l èrba faróm èl fe!””. Più o meno, come secondo l’antica lingua Latina: Adhuc tua messis in herba est > il tuo raccolto è ancora in erba (Ovidio, Heroides XVII, v.263). L’espressione è tratta da una lettera che Ovidio immagina scritta da Elena a Paride. La donna dopo aver spiegato al bel troiano che lui è certo più coraggioso come cacciatore di sottane che come guerriero continua dicendo “Adhuc tua messis in herba est” (=sei un immaturo) se credi che Menelao e gli Achei resterebbero con le mani in mano se io cedessi alle tue lusinghe. Il detto può anche essere utilizzato per indicare ad aver pazienza, a saper attendere l’occasione buona. In dialetto bresciano/gussaghese, come noterete, è del tutto simile a: “”Sè ghè/ga sarà dè ‘l èrba faróm dèl fe!”” (Se vi sarà dell’erba faremo del fieno) = Saper attendere il tempo, quello opportuno.
  • … ècc/vècc… Vedasi alla voce “C”

F

  • “”Sè ghè/ga sarà dè ‘l èrba faróm dèl fe!””; vedi alla lettera “E”
  • Fòmna zùena e òm vècc, j mpienés la cà dè s-cècc. Donna giovane e uomo vecchio riempiono la casa di bambini. Per ragioni non sicuramente biologiche.
  • Frà. I Frà coi gra i ga fat sènto zerle dè vi! Ammonimento, raccomandazione degli anziani ai bambini e ragazzi. Siamo a vendemmia lungo/sotto i filari a pergolato di un tempo, tipo di coltivazione in auge nella nostra Gussago, molto diverso dai sistemi moderni, attuali. Non lasciare che i chicchi d’uva, gli acini, cadano a terra e se accadesse provvedere subito a raccoglierli; infatti è con i chicchi, i gra, che si ottiene vino. Come ben sanno e ci hanno insegnato i frati di Saiano del Collegio Serafico (°°), quelli del Calvario come si diceva dalle nostre parti franciacortine sin dal 1902, i quali “spigolando” l’uva sui pergolati sfuggita ai contadini e raccogliendo gli acini a terra, non recuperati dai vendemmiatori: coi gra i ga fat sènto zèrle dè vi. (°°). ORDINE FRANCESCANO FRATI MINORI, o.f.m. Fondato nel 1209 da Francesco d’Assini (1182 – 1226). Carisma: Conformità con Cristo nella povertà evangelica; apostolato della predicazione ai fedeli e agli infedeli.
  • Èl formài/furmài èl fa bè al bagài / èl fa tirà ‘l bagài. Il formaggio fa bene …ai giovanotti.
  • A fàlå töte le matìne, tè fét a manc dè medizìne. Se vai di corpo ogni mattina non ti occorrono medicine.

G

  • Galantòm. A fa ‘l galantòm, no sè deèntå siòr. A fare il galantuomo non si diventa ricchi. Ma si guadagna in reputazione.
  • Gra. I Fra coi gra i ga fat sènto zerle dè vi! (vedasi alla lettera “F” di Fra >Frati)

H     

  • __

I      

  • I intèrès di ótèr… Vedi alla voce “O”.
  • Istàt dè San Martì… Vedasi alla voce “S”

L

  • A sta col luf, sa ‘mpara a ürlà. A stare col lupo si impara a ululare. O come si direbbe in italiano: “A stare con lo zoppo, si impara a zoppicare”.
  • Laurét/laorét. Vedasi alla voce “S”: …Sul.
  • Val dè pö/piö ‘na bunå lapå chè ‘na bunå sapå. Vale di più una buona lingua (il saper parlare bene) che una buona zappa (saper lavorare). (?). … constatazione del villano/contadino, amareggiato.

M

  • La minestra riscaldàdå la sént dè föm. La minestra riscaldata puzza di fumo. Un fidanzamento rotto e ripreso non è più quello di prima.
  • Mulì. A na al mulì s’enfarinå. Ad andare al mulino ci si infarina. A forza di frequentarsi, ci si infiamma.
  • Pè. Chèl lè, èl völ fagå i pè a le mosche. Quello vuol/pretende di fare i piedi alle mosche.
  • L-è la matinå chè portå aànti ‘l dè. È il mattino che fa abbondare il lavoro giornaliero.
  • Quan /quand la Madalénå la gha ‘l capèl o chè ‘l piöf o chè ‘l fa bèl. Quando la Maddalena (il Monte Maddalena, collina dei Ronchi di Brescia) ha il cappello o piove o fa bello.
  • Per San Martì, tòt èl most l’… Vedasi alla voce “V”
  • Se tè öt restà sa, làet dè spès le ma. Se vuoi restare sano, lavati spesso le mani. (Proverbio, mai così veritiero e fondato come in questo periodo pandemico da SARS 2 Covid-19; com’erano avveduti i nostri vecchi/anziani gussaghesi di un tempo passato e senza istruzione! Oggi, invece, necessita che a raccomandarlo sia organismi scientifici a carattere nazionale, e poi molti non vi ottemperano, non vi credono, sono negazionisti del Virus).

N

  • Col tep è co la pàiå madürå a i nèspoi. Col tempo e con la paglia maturano anche le nespole. Invito all’attesa, a pazientare.
  • Sè la nòt tè öt dórmer bé, a la svèlta dè tàolå tìret ‘ndré. Se la notte vuoi dormire bene, alzati presto da tavola.
  • A Pasquå è a Nèdàl… Vedasi alla lettera “P”

 O

  • Domandàgå a l’ostér s’èl vi l’è bu! Vedi alla lettera “D”
  • A córèr pèr i intèrès di ótèr tè rèstèt sènså scarpe è co le pèse söl cül. A correre per gli interessi degli altri si resta senza scarpe e con le pezze al culo.
  • Qgni pè ‘n dèl cül… Vedasi alla voce “C”
  • L’òm sa èl pisså come ‘n ca. L’uomo sano piscia come un cane.

P

  • Pèse söl cül. Vedi alla voce “O”
  • Pòtå… …i la dis i fra quand chi sa scòtå. ..  lo dicono i frati quando si scottano.   Unire la spiegazione atavica bresciana di pòta
  • Pötòst che niènt, l’è mèi pötòst (*).Piuttosto che niente, è meglio piuttosto.Meglio poco che niente. (*) Pötòst in alcune zone è Piötòst, niènt in alcune zone è neènt, negót, o nigót. 
  • L-è parènt/parét pèr part dè ciàpe. E’ un parente come tutti al mondo lo siamo.
  • La paia arènt al föc la tàcå. La paglia vicino al fuoco ci accende.
  • Sè tè öt viver quiét /quét, rèstå pöt. Sè vuoi vivere tranquillo, resta scapolo.
  • Èn pàder sul èl manté dés fiöi, ma dès fiöi i manté miå èl/sò pàder. Un padre mantiene dieci figli ma dieci figli non mantengono un padre.
  • ‘L-è mèi piegàss chè scaessàs. Meglio piegarsi che rompersi.
  • A fa la polentå bunå, car èl mé s-cètt, ghè öl tant föc è òio dé gombèt. A far la polenta buona, caro mio, ci vuole tanto fuoco e olio di gomito. Oltre alla fiamma alta occorre molta energia nel rimestare il paiolo.
  • Bösògnå patì per compatì. Bisogna aver sofferto per imparare a compatire.
  • Èn Paradìs sè a/va migå ‘n caròsså. In Paradiso non si va in carrozza. Per guadagnarsi il Paradiso bisogna sapersi sacrificare.
  • A Pasquå è a Nèdàl töte le spuze al sò casàl. A Pasqua ed a Natale tutte le spose tornano alla casa (nativa) dei genitori.

Q

  • Quan /quand la Madalénå la gha ‘l capèl… Vedasi alla voce “M”

R

  • Fin chè ghè n’è, vivå ‘l Rè, quan chè ghè n’è piö, fom balà la Reginå. Finché ce n’è, viva il Re, quando non ce n’è più , …facciamo ballare la Regina.

S

  • Sòc. Chi nas de sòc sènt de lègn. Chi nasce da un ceppo, sa di legno. Una variante del “tale padre, tale figlio”.
  • Quan chè ‘l sul èl tramóntå, èl catìf laurét/laorét èl spòntå. Quando il sole tramonta il cattivo lavoratore si dà da fare.
  • Bèl ciapà, fa bèl spènder. Bel prendere, bel spendere.
  • Pèr Sant’Anå chi nò gha canù gha canå. A Sant’Anna il granoturco deve aver la pannocchia altrimenti non fa resa.
  • L’ istàt dè San Martì èl düra tré dé e ‘n tuchilì /ciapilì. L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino.
  • Chi dè s-cètt ‘l gha strepasàt, èl deèntå ‘n vècio malandàt. Chi da ragazzo ha strapazzato diverrà un vecchio malandato.
  • Finå ai sinquantå, sè söbiå è sè cantå, dei sinquantå ‘n sö, poc sè söbiå è sè cantå piö.
    Fino ai cinquanta si zufola e si canta, dai cinquanta in su poco si zufola e non si canta più.
  • Se tè öt restà sa, … Vedasi alla voce “S”
  • L-è ‘n bèl siòr chèl chè gha nisü mai. È un bel signore colui che non ha nessun male. La salute è la più grande ricchezza che ci sia.
  • L-è mèi cönsömà le scarpe chè i lensöi. È meglio consumare le scarpe che le lenzuola.

T

  • Capacità, carismi, talenti dell’uomo/della donna. Vedi alla lettera “C”
  • Èl tròp tirà ‘l sè schìncå. Il troppo tirare rompe.
  • L’-è ‘na trèmpå! L’è ‘na trèmpå dè giü! È un tipo di uno; è un osso duro! E’ difficile da ammansire.
  • L’-è ‘na bèla trèmpa! È un pezzo d’uomo!
  • Trèmpà. Allungare, mischiare, ad esempio, il vino con acqua quando è versato nel bicchiere.
  • Trèmpà (Nel mestiere del forgiatore, anche maniscalco). Temprare il ferro in lavorazione quando e ancora rovente immergendolo in acqua; fagli prendere la tempera. Dicasi anche Tèmprà.

U

  • Uzå miå, chè i ta sent tocc! Ghet/d miå argognå a fat séntèr dè la zet? Non gridare, ti sentono tutti! Non hai vergogna a farti sentire dalla gente? Ammonimento della moglie (o del padre verso i figli) in occasione di discussioni ad alta voce o alterazioni durante litigi tra familiari.

V

  • El vì dè ‘n’an, èl pa d’èn dé, la fòmna i agn chè tè piàs a té. Pane e vino piacciono a tutti, la donna invece deve piacere a te.
  • Vi di Vino. I Frà coi gra i ga fat sènto zerle dè vi! (vedasi alla lettera “F” di Fra > Frati)
  • Come alå? Come alå la vitå/etå? La ga a bé ai siòri. Come va? Come va la vita? = Va bene ai ricchi.
  • Come alå? Come alå la vitå/etå? La va re a la camizå. Come va? Come va la vita? = Corre lungo la camicia
  • Per San Martì, tòt èl most ‘l-è vì. Per San Martino tutto il mosto è vino.
  • … vècio malandàt! Vedasi meglio alla voce “S”

 Z

  • Zèrle. I Frà coi gra i ga fat sènto zèrle dè vi! Vedi alla lettera “F”
  • Le braàde dè zùènòcc sa le pagå dè vècc. La bravate giovanili si scontano da vecchi. Gli eccessi giovanili si pagano.

 

A cura di Achille Giovanni Piardi

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