Dina, 1723. Il numero che accompagna il nuovo menu del ristorante dello chef e patron Alberto Gipponi a Gussago (Brescia), non vuole riportarci indietro di 300 anni, ma traccia la distanza temporale tra l’inaugurazione dell’insegna, nel 2017, e il momento attuale. Non tanto per introdurre un percorso di piatti che serva da bilancio di questi quasi sei anni di attività, ma per fotografare il punto in cui si trova l’evoluzione della proposta di un cuoco, a volte inquieto e sempre appassionato, completamente immerso nel lavoro che si è costruito e conquistato quando era già un uomo adulto.
Quasi sei anni in cui Gipponi è cresciuto, si è messo alla prova, sia con piatti e menu estremi, a volte sembrando provocatorio e “difficile”, sia con interpretazioni riuscite di ricette classiche italiane – che oggi trovano piena realizzazione nella gastronomia Delia, aperta nel 2021 a Brescia – sia ancora con un menu tutto dedicato alla pasta: I M PASTA.
Lo studio, la ricerca, gli esperimenti, restano un elemento essenziale della cucina e delle idee dello chef di Dina: ne è stata una prova eclatante il progetto Aoristo, lanciato per la prima edizione a settembre 2022 e che prima o poi tornerà anche nel 2023. Viene così descritto sul sito del ristorante: “Per Alberto Gipponi, Aoristo non è soltanto un menù particolare, sulle regole, con condimenti e abbinamenti; Aoristo è il racconto creativo di Dina ed è anche un invito a partecipare attivamente alla narrazione, esprimendo i propri pensieri su vari temi che toccano la vita del ristorante, per trovare un modo nuovo di vivere l’esperienza”. Insomma, un laboratorio che coinvolge al pubblico, una prova aperta in cui gli spettatori possono condividere il palco con la compagnia teatrale. Un’occasione per far crescere, anche in modo inaspettato, la propria creatività.
E infatti Alberto Gipponi raccontando il suo attuale menu, presentato con l’inizio dell’anno, spesso cita l’esperienza di Aoristo come fonte di ispirazioni, idee, piatti. La ricerca dello scambio, del dialogo tra chi cucina e chi mangia, è un’altra parte essenziale della visione di questo cuoco, che oggi cerca di non imporsi come presenza in sala, “esco solo alla fine, non voglio annoiare con le mie elucubrazioni”, ma che ha una grande capacità dialettica, sa portare le persone nel proprio mondo, fatto di ragionamenti e associazioni, tra la filosofia e la musica, l’arte e la materia prima.
Il benvenuto della cucina mette in primo piano proprio gli ingredienti: prima la Bruschetta, in cui ritrovare memorie gustative profondamente italiane. Il basilico, come prima cosa; il pomodoro, in forma di estratto prodotto da Giovanni Parisi, lasciando essiccare i frutti su tavoli di legno sotto il sole della Sicilia. E poi un potente umami mediterraneo, con una pasta di Parmigiano ottenuta facendo ridurre al massimo l’acqua ottenuta dalla separazione dei grassi. Un primo boccone che unisce i ricordi d’infanzia alla sorpresa di fronte a quell’intensità. Poi la Polpetta, nella sua semplicità istantanea, “il piacere nudo”, come lo definisce Gipponi.
Scaldato il palato, si parte con il menu. Che inizia da un piatto essenziale, minimale, “monacale”, come lo definisce il suo autore: Salmerino e rosa accosta infatti la delicatezza del pesce di acqua dolce, la cui pelle viene cotta in modo da diventare quasi cremosa al momento del morso, con il profumo tenue ma incisivo dell’acqua di rose. E’ un piatto nato durante l’esperienza di Aoristo, così come il successivo, Olive, fondo bruno, vaniglia e rum.
Che viene però accompagnato anche da un Malaga ghiacciato, che si propone come condimento del piatto: questa idea dei condimenti accompagna buona parte del menu, e altri condimenti vengono proposti a chi sceglie anche l’abbinamento vini, composto appunto solo in parte da calici di vino. L’idea di un piatto come questo sta nel non avere un ingrediente centrale, protagonista, e nel mettere invece al centro l’incontro tra i sapori, che si dimostra sorprendente nel suo equilibrio e nella sua personalità. Accostato poi al suo condimento, emerge un’ulteriore sfumatura, dolce e cremosa, che conclude un piccolo e affascinante viaggio gustativo.
Più classico, o un “piatto piatto” come direbbe Gipponi, il Fegato di fassona, salsa bordolese, mela, curcuma, noce, cipolla fritta, dove ci ha entusiasmato la doppia presenza della mela, in estratto puro e aromatizzato con la curcuma. Nuovamente frutto dei pensieri scaturiti con Aoristo è invece il Cannellone e tartufo bianco: prima arriva la pasta, il “cannellone d’aria”, che in effetti si presenta vuoto. Ricco, con una piccola parte croccante e una grande cremosità in bocca, ma vuoto. Appena lo si è terminato, ecco il condimento, nella forma di un gelato intensamente al tartufo e altrettanto cremoso. Un gioco tremendamente goloso.
Il Risotto ostrica e alloro è un’altra boa rassicurante a cui aggrapparsi nel percorso, prima di incrociare un piatto che Gipponi prepara da qualche tempo, all’origine dell’idea dei condimenti. L’Animella ai fiori d’arancio e Gravner utilizza infatti una classica Ribolla in anfora di Josko Gravner non come abbinamento, ma come elemento del piatto, a concludere l’esperienza di degustazione. Mirabile però soprattutto, per chi scrive, l’incontro perfetto tra la delicata grassezza dell’animella e la freschezza profumata dei fiori d’arancio. Da averne già nostalgia.
E’ un “piatto piatto” anche Faraona, limone e genziana, con chiari echi francesi (Gipponi nel 2022 ha passato un mese nella cucina del tristellato Georges Blanc) e l’ancor più chiaro talento del cuoco di Dina nel proporre e gestire le tonalità amare nei suoi piatti, in questo caso fornite dal limone, in pasta, e dalla genziana, usata nella salsa/fondo che accompagna il piatto.
Scivolando verso i dolci arriva l’ultimo scossone Gipponiano, con lo Spaghettino con indivia ghiacciata, miele, aceto di miele, sambuco e pepe tellicherry. Un assaggio la cui degustazione, per lo chef, inizia quando si è finito di mangiarlo, per come il pepe scalda il palato, fornendo una sensazione che va oltre il concetto basico del gusto.
La Crostatina cruda ma cotta gioca con la stessa tecnica (di cottura della pasta sottovuoto) da cui nacque la prima hit del cuoco di Dina, il Casoncello crudo ma cotto, mentre il Soufflé alla rapa rossa e gelato alla stracciatella al burro salato porta a conclusione il menu con un incontro di colori di immediata bellezza, e un’intensa golosità data soprattutto dal tono squisitamente sapido del gelato.
La tavola di Dina si conferma felicemente nella sua identità, per quanto in costante evoluzione. Se alcuni spigoli, che in tutta sincerità hanno rappresentato e continuano a rappresentare un motivo di grande fascino per la cucina di Alberto Gipponi, sono stati consapevolmente smussati, a Gussago si viene per godere di uno sguardo originale e profondo sulla cucina italiana, per gli accostamenti inediti, coraggiosi, misuratamente spiazzanti. Per la personalità ironica e riflessiva, mai banale, dello chef e patron.
Niccolò Vecchia
Fonte: identitagolose.it
Per approfondire:
– dinaristorante.com