Aveva la prova che la compagna la tradiva, aveva trovato alcune foto sul computer in cui Marilena — la «sua» Marilena — era in atteggiamenti affettuosi con una biondina dell’Est. Quelle immagini erano state un terremoto nella testa di Angela Toni: aveva visto la fine di un rapporto che durava da poco più di un anno, si era vista respinta, rifiutata, abbandonata dalla donna con cui aveva creduto di trovare, finalmente, felicità e serenità. Così, travolta da un dolore acuto e profondo, aveva comprato una pistola grazie al permesso per uso sportivo. E la notte di un anno fa, cinque giorni dopo l’acquisto della Beretta 7.65, dopo l’ennesima scenata di gelosia, aveva atteso che la compagna si addormentasse e poi l’aveva freddata con due colpi in testa. Per riuscire a premere il grilletto Angela aveva coperto il volto di Marilena Ciofalo con il cuscino.
Angela Toni, la prima donna italiana a macchiarsi del reato di femminicidio, è stata condannata a 16 anni per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla minorata difesa e dal rapporto di convivenza. Per l’omicidio commesso un anno fa a Gussago il pm Gian Maria Pietrogrande aveva chiesto 30 anni. Ma il gup Marco Cucchetto ha considerato le attenuanti generiche, invocate dal difensore Fausto Pelizzari, equivalenti alle aggravanti, arrivando a una condanna di 16 anni. Toni, in avvio di processo, aveva depositato un memoriale scritto di suo pugno in cui narrava la vita difficile vissuta in famiglia, l’allontanamento a vent’anni per il deteriorarsi dei rapporti con i familiari. Nell’anno di detenzione a Verziano Angela non ha ricevuto nemmeno una visita, nessuno della sua famiglia l’ha cercata, non un amico, non un conoscente. A raccogliere le sue angosce in carcere è stata una psichiatra, a lei Angela ha raccontato drammi e dolori di una adolescenza difficile, ha raccontato dell’amore per Marilena e del dolore alla scoperta che il sentimento non era più ricambiato con la stessa intensità. La psichiatra è stata sentita dal giudice. Angela Toni ha anche raccontato, l’ha fatto anche in aula, del desiderio di farla finita, della voglia di porre fine a tutte le sue delusioni con un colpo di pistola. Ma quel colpo alla fine, nella notte del 10 marzo 2013, l’aveva riservato a Marilena. Angela dovrà anche risarcire i familiari della sua compagna: per sorella, padre e fratello della vittima il giudice ha previsto una provvisionale di 290 mila euro. Per i familiari della vittima la condanna a 16 anni è inaccettabile «Meritava l’ergastolo — ha confessato tra le lacrime la sorella di Marilena subito dopo la lettura della sentenza — per quello che ha fatto doveva restare in carcere per sempre».
L’omicidio, come detto, risale a un anno fa esatto. Poco dopo mezzanotte Angela, 36 anni aveva ucciso la sua compagna di 34 anni. Poi era rimasta a vegliare la sua donna, aveva tolto gli abiti schizzati di sangue, li aveva adagiati sul letto vicino al corpo di Marilena, si era lavata, cambiata e alle 8:30 aveva chiamato le forze dell’ordine: «Ho ucciso la mia compagna, venite a prendermi». Quando arrivarono i carabinieri Angela era seduta sul divano, in stato di choc, accanto al barboncino Neve (è stato affidato ad alcuni vicini di casa). «Non ce la facevo più in un rapporto di bugie» aveva detto agli inquirenti. Si sentiva tradita e aveva trovato le foto che provavano l’amicizia affettuosa di Marilena con una ragazza dell’Est che viveva in un paese vicino a Gussago. Le stesse foto che sono finite anche negli atti del processo.
Wilma Petenzi
Fonte: Corriere della Sera – ed. Brescia