I genitori di Sergio Lana: “Abbiamo perdonato, ma continueremo a cercare la verità”

Un portafoglio vuoto, un orologio con il cinturino scollato dal tempo, la corona di legno con cui recitava il rosario prima di morire: sono le reliquie, avvolte in un fazzoletto bianco, conservate da Franca Ferrari e Augusto Lana, del loro unico figlio, perso appena ventenne, nel pomeriggio del 29 maggio del 1993, in Bosnia. Manca dalla loro casa di Civine di Gussago da trent’anni, ma la sua presenza si avverte, impercettibilmente, nelle parole e nei gesti dei genitori, nella tenerezza del ricordo, nella fede che hanno sempre condiviso, nella luce dei loro occhi che mescola il dolore alla certezza che Sergio ha fatto la cosa giusta e li sta vegliando dal paradiso, nella forza interiore che li anima, nella convinzione di continuare a operare per il bene e che la morte non è la fine di tutto.

«All’inizio è stato un colpo durissimo: era il nostro unico figlio, il nostro futuro. Pensavo che sarei morta subito anch’io – dice mamma Franca -. Mi sono ribellata al Signore, ero piena di rabbia, continuavo a lamentarmi e a chiedermi perché era toccata proprio a noi una disgrazia così: perché lui che aveva una vita davanti, era buono, generoso, agiva per la pace aveva fatto quella fine? Ero sulla strada sbagliata e non riuscivo più pregare con il cuore». Poi però è arrivata la luce: Mio figlio era morto recitando il rosario perché aveva la fede, ed io? Così è caduta l’oscurità che mi avvolgeva, mi sono liberata dal rischio della disperazione, ho iniziato un cammino nuovo verso il perdono che avrebbe salvato prima di tutto noi stessi». È nota la lettera che indirizzò agli assassini del figlio: «Vi ho scritto per dirvi che non provo rancore né odio verso chi li ha uccisi, ma che io li perdono». «È un dono ricevuto dal Signore, non un merito nostro, quello che ci ha consentito di andare avanti tutto questo tempo e di accettare la sua volontà – aggiunge papà Augusto -. Anche noi abbiamo abbracciato la nostra croce e abbiamo trovato consolazione: se viviamo con serenità è solo un regalo del cielo». «Nel nostro dolore abbiamo ricevuto tanto, un conforto non soltanto dagli amici, ma da molte persone, invece ad altri genitori che hanno perso i figli è toccato soffrire avvolti nel silenzio» aggiunge Franca.

Ritornano con il pensiero a quell’ultimo viaggio, il quinto di Sergio, ma stavolta senza di loro. Ci andava con Fabio che come lui non aveva né moglie né figli e poteva rischiare un po’ di più per raggiungere zone più pericolose e proprio per quello più bisognose di aiuto: «Avevamo tentato di dissuaderlo, ma eravamo stati noi a insegnargli la carità, l’impegno umanitario… L’esperienza dei viaggi vicino a chi offre lo aveva toccato nel profondo, non si sarebbe tirato indietro – dicono insieme -. Non ha fatto niente di speciale, molti altri avrebbero agito come lui». Così, sapendo la preoccupazione soprattutto della mamma, Sergio prima di partire le aveva stampato due baci sulla guancia, non uno solo come lei per la prima volta chiedeva. Sorridente e solare come sempre era partito andando incontro al suo destino, alla raffica di kalashnikov che avrebbe posto fine ai suoi 20 anni e al desiderio dei genitori di dargli il meglio. Mamma Franca avrebbe voluto dire agli assassini quanta bontà c’era in Sergio, il suo desiderio di pace e di aiutare chi aveva bisogno, perché il loro cuore capisse e guarisse. Con le parole: «Pace e bene» pronunciate nella sua lingua i coniugi Lana si sono rivolti a Paraga e lui si è inchinato davanti a loro, durante il processo di Brescia «che però ha squarciato lati oscuri che non immaginavo. Continuerò a cercare la verità, il solo prezzo per il sangue di mio figlio».
Milena Moneta

Guido, Sergio, Fabio: la vita, la morte, l’esempio

Chi erano le tre vittime della strage del ’93? Guido Puletti, espulso nel ’77 dall’Argentina, dove era nato a giugno del ’53, figlio di un emigrante perugino, dopo aver subito carcere e torture per il suo impegno politico, si trasferisce in Italia scegliendo Brescia come città di adozione. Qui comincia la carriera di giornalista scrivendo per il nostro quotidiano, per agenzie e periodici, specializzandosi su temi internazionali, mentre l’impegno politico lo porta in consiglio comunale con il Partito della Rifondazione comunista. Padre di Javier e Damian, il suo nome è inserito nel Journalist Memorial del Newseum di Washington tra i giornalisti uccisi mentre svolgevano il loro lavoro, nella lapide che, nella Casa del Jazz di Roma, ricorda le vittime innocenti delle mafie e nel «Pannello della Memoria» di Ossigeno per l’Informazione.

Fabio Moreni era invece nato a Cremona il 12 maggio 1954; dopo una brillante carriera scolastica – diploma in quattro anni al liceo scientifico, laurea con lode in ingegneria informatica alla Normale di Pisa-, rimasto orfano di padre e figlio unico si occupa dell’impresa di scavi per materiale edilizio della famiglia. Ricco, di bell’aspetto e con capacità di relazione, amante dei motori e dei superleggeri sceglie la via difficile della solidarietà, per altruismo e per una fede molto sentita. La mamma Valeria donerà il suo patrimonio alla Fondazione che porta il nome e del figlio.

Anche Sergio Lana, il più giovane, è figlio unico; nato a Concesio il 25 ottobre 1972, abitava a Gussago con i genitori Augusto e Franca, da sempre impegnati nel volontariato. Compiuti gli studi di perito elettronico, si preparava a svolgere il servizio civile alla Caritas: sarebbe partito a luglio dopo una breve vacanza dai nonni a Rivarolo mantovano dove invece è stato sepolto. La domanda inoltrata al Ministero della Difesa è «l’unico scritto rappresentativo della sua persona» dice il papà. Vi si legge: «La mia fede mi insegna che le armi portano sempre morte e distruzione di vite umane. Non solo voglio evitarne l’uso, ma aiutare il mio prossimo come Dio ci ha insegnato».
Mi.Mon.

Fonte: Bresciaoggi

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