La storia del “Medol” di Navezze, stabilimento di produzione della calce

Parrocchia-Navezze

Il programma delle celebrazioni per il Santo Patrono di Navezze, Vincenzo Ferreri, prevede la celebrazione di una Santa Messa anche al complesso “LA CALCE”, ma cosa fu e significò per Navezze e Gussago questo stabilimento di produzione di calce da costruzione, nel corso di diversi decenni, a partire dal 1924?

Nello stabilimento, chi scrive entrò una volta soltanto, non era per nulla facile l’accesso quali ragazzi, ma con tutta la classe riuscii a varcare il primo grande cancello posto a sud, da dove uscivano i camion carichi di sacchi di quel ricco ed importante prodotto cementizio, in attesa che venisse, purtroppo, soppiantato dal più noto e potente cemento portland. Rimanemmo all’interno quasi una mattinata.

Tra i gussaghesi sono note le fatiche di coloro che lavoravano nei medoli, tutti posti sotto la sicura, …o quasi, protezione della santa giovinetta martire, Barbara. A Gussago i giovani – proprio i più giovani per necessità di braccia forti – sono stati “medoler” in quanto, come dice il termine, lavorano al medol, medolo, cava di pietra speciale per far la calce da costruzione. Tali sono i fratelli Achille, Giacinto e Giovanni, Achille – Francesco e Piero, fratelli, Pietro G. dèl Medol ed ancora Bortolo detto Nani, Emilio dè P., Francesco detto Cèco con suo cugino Piero suddetto, ma chi potrà mai conoscere il nome e neppure il numero di tanti nostri giovani uomini lavoranti alla fabbrica di calce Buffoli e, sovente, rimanere colpiti da quella maledetta polvere? Sì; la polvere nei polmoni!

“ (…). In questo settore del cemento e della calce è da segnalare una delle prime fabbriche italiane di calce idraulica, quella della ditta Buffoli Benedetto & C. in Concesio, alla quale nel 1924 si è aggiunta l’altra di Gussago, pure a cura della stessa ditta. (…)”.
[ALFREDO GIARRATANA – L’ INDUSTRIA BRESCIANA ED I SUOI UOMINI NEGLI ULTIMI 50 ANNI Supplemento ai COMMENTAR1 DELL’ATENEO Con il contributo del& ASSOCIAZIONE INDUSTRIALS BRESCIANA. Tipografia F.lli Geroldi, 1957].

Forse abbiamo dato un’indicazione a qualche giovane gussaghese che volesse compiervi uno studio, anche per una tesi di laurea. Noi non ci dilunghiamo oltre perchè la storia produttiva di questo opificio la prendiamo a prestito da uno dei tanti lavori compiuti da Teresa Angeli, la maestra di molti di noi a partire dall’anno scolastico 1945 quando, appena diplomata, andò in aiuto della maestra titolare Camilla Peracchia.

La fabbrica della calce (Medol)

Lungo il tratto stradale che dal Caricatore va in direzione Navezze e che noi percorriamo all’inizio del nostro itinerario, passiamo nei pressi della vecchia fabbrica di calce (riconoscibile per le grosse pietre che formano il muro perimetrale), ora recuperata ad uso abitativo. La fabbrica e la retrostante cava era denominata Medol, da Medolo, ossia la formazione rocciosa da cui si ricavava la calce. ll Medolo è un calcare marino che presenta tre tipi di sedimenti: la parte più chiara è costituita da calcare fatto di residui di conchiglie e alghe; il secondo è fango solidificato (marna); il terzo è una selce, roccia silicea più dura, costituita dalla fossilizzazione di piccole spugne marine. In ciascuna di tali formazioni sono presenti segni delle accumulazioni marine, fossili, lamellibranchi, ammoniti, belemniti, echinoidi, opercoli. Una classe della scuola elementare di Gussago nel 1960 visitò la fabbrica della calce di proprietà del signor Buffoli Aldo; dalle loro note (che per motivi di spazio sintetizzeremo) possiamo farci un’idea di come si svolgesse l’attività al Medol, dove lavorarono anche molti Gussaghesi. “La cava è posta dietro l’edificio della fabbrica, alta fino a 40 metri e formata da tre tipi di stratificazioni (il medolo appunto). Le cariche di esplosivo, con la miccia di corda catramata, vengono piazzate nei fori ricavati nella roccia con il martello pneumatico. Dopo l’esplosione si provvede a frantumare le grosse pietre a colpi di mazza per poi caricarle nel carrello (benel). Una rete di rotaie, che collega la cava ed i vari reparti, facilita il trasporto della materia prima durante tutte le fasi della lavorazione con un carrello trainato e/o frenato da un cavo d’acciaio azionato da un motore elettrico. Fabbricati con prismi di cemento fuso e di forma cilindrica del diametro di 2 metri e profondi 17, i quattro forni costituiscono la prima fase della lavorazione; in essi vengono sistemati strati di medolo alternati a strati di carbon coke, che sono lasciati cuocere per 7 – 8 giorni. Dopo la cottura la parte calcarea del medolo diventa di un colore giallo zolfo ed è molto friabile, la parte marnosa invece assume sfumature che vanno dall’arancio al roseo al rosso e rimane più consistente. Al termine di questa fase le pietre vengono estratte dai forni azionando grosse verghe di ferro che fungono da setaccio e caricate nei carrelli sottostanti pronte per essere trasportate nei silos per la stagionatura. Con grossi getti d’acqua si provvede a bagnare abbondantemente il materiale prima di immetterlo in uno dei 13 silos che formano questo secondo reparto. Durante i due mesi della stagionatura le pietre cotte si sfaldano e sbriciolano ulteriormente formando un pietrisco che viene poi trasportato al frantoio per essere macinato e raffinato. Azionato anch’esso da un motore elettrico, il frantoio è diviso in due camere: nella prima, dove al pietrisco vengono unite sostanze chimiche e bocce di ferro, si effettua una prima sgrossatura che dà origine alla calce grezza; nella seconda, dove la calce arriva passando attraverso una piccola fessura posta nell’intercapedine che divide in due il frantoio, avviene la lavorazione finale. La calce così ottenuta, trasportata da palette a spirale, passa in una serie di setacci e tubi lunghi un centinaio di metri fino ai silos da cui viene poi prelevata per essere confezionata nei sacchi di carta.” Riportiamo infine alcuni dati che riguardano questa attività economica: si producevano annualmente circa 70.000 quintali di calce che veniva venduta oltre che nella provincia di Brescia in quelle di Mantova, Verona e Padova; nel periodo invernale l’attività lavorativa era più intensa, infatti da novembre a febbraio il numero di operai passava da 20 a 14; prima delle ferie estive i forni venivano sigillati con la calce per evitarne il raffreddamento.
Notizie tratte da appunti della maestra Angeli Teresa

A cura di Achille Giovanni Piardi

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