Mercoledì 28 maggio 2014 presso la sala civica “C. Togni” di Gussago si è tenuta una conferenza dal titolo “Ludopatia quando il gioco diventa malattia” con relatrice la psicoterapeuta Paola Baiocchi. Quest’ incontro è stato realizzato in collaborazione tra l’Associazione Pensionati di Gussago e Diabete Brescia, con il patrocinio del Comune di Gussago. Purtroppo i gussaghesi non hanno riposto in modo concreto e ad ascoltare la conferenzac’era poca gente. Il sotto titolo di questa conferenza era “ll giocatore della porta accanto” si perché tutti siamo potenziali giocatori il gioco non conosce sesso e non ha età. Un giocatore compulsivo non è uno sprovveduto, anzi. La ludopatia, o gioco d’azzardo patologico (Gap) è una vera e propria patologia, una dipendenza che, stando ai dati forniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), coinvolge il 3% della popolazione adulta, ovvero un milione e mezzo di italiani.
Se per alcune persone tentare la fortuna al gioco è un semplice passatempo, per altri può sfociare in un desiderio compulsivo difficile da controllare e tenere a freno. Con la parola “gioco d’azzardo” ci si riferisce non solo ai giochi tipici da casinò (roulette o blackjack), ma a qualsiasi tipologia di gioco che implichi una scommessa, e la cui vincita di denaro è lasciata al caso. Giocare d’azzardo in luoghi pubblici o privati è vietato in Italia, mentre è invece ammesso il “gioco pubblico”: lotterie, Superenalotto e Lotto, Bingo e scommesse sportive, giochi online, Gratta e vinci slot machine che si trovano all’interno di bar e locali pubblici. Come detto la ludopatia è un disturbo del comportamento che può avere gravi conseguenze sulla vita sociale e professionale del soggetto Ludopatico. Si tratta di una “dipendenza senza sostanze”, che si concretizza nel forte desiderio di provare le emozioni legate al gioco e alla scommessa: solo assecondando questo impulso il “malato di gioco” si sente meglio. Con il tempo gli individui colpiti da “ludopatia” cominciano a contrarre debiti e non riescono più a controllare né i soldi persi con le scommesse, né la quantità del tempo trascorso a giocare. Nella maggior parte dei casi queste persone non si rendono conto di avere un problema, fino a quando cominciano a perdere il lavoro e gli affetti familiari. Solo allora si decidono a chiedere aiuto per uscire fuori dal tunnel in cui sono entrati. I “malati di gioco” in genere sono persone insicure, insoddisfatte della vita che conducono ed inclini a problemi psicologici come la depressione. Si tratta di individui che non riescono ad esprimere i propri sentimenti e di solito mascherano la loro insicurezza dietro una facciata aggressiva, competitiva e spesso euforica. Possono essere vittime del gioco compulsivo non solo le persone con problemi economici e appartenenti al ceto medio-basso, ma anche professionisti di alto livello e manager. Questi, in genere, investono nel gioco grosse somme di denaro, solo perché attratti dal brivido del rischio, pensando di vincere e dominare così il destino.
La guarigione da questa “malattia” richiede tempi abbastanza lunghi. I programmi di recupero vengono personalizzati e svolti in equipe (psichiatri, psicologi, esperti di finanza ed economia). Durante il percorso si aiuta il soggetto ad affrontare il problema, uscendo dal penoso stato di dipendenza in cui si trova. Il giocatore compulsivo viene coinvolto in incontri individuali e di gruppo che hanno l’obiettivo di ricucire i rapporti familiari deteriorati e quelli professionali interrotti. Ci si chiede come si può riconoscere un giocatore patologico: gioca per più tempo di quanto vorrebbe, spende denaro più di quanto può permettersi, viene meno ai doveri della famiglia della cura della persona, pensa al gioco (mentre studia lavora). Soluzioni a tale patologia sono: la rete sociale, la psicoterapia di gruppo o individuale, l’ ADS ( Amministratore Di Sostegno), le associazioni di antiusura (perchè spesso si va ad attingere fondi dagli usurai).
E’ importante sapere che di recente, il DDL 13/9/2012 n. 158 (art. 5), ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia.
Emblematica è stata alla fine della conferenza la testimonianza di un “giocatore” che da 50 gioca d’azzardo in modo sistematico. Sono 5 anni che non gioca più però, come dice lui, non giocare non significa non pensare al gioco. Grazie a questa testimonianza abbiamo potuto percepire come un giocatore si pone con la sua persona e con gli altri, come riesce a mentire alle persone, come gli affetti passano in secondo piano. “Il nostro giocatore ” ha ammesso che alla nascita della figlia, dopo essersi accertato che madre e figlia godessero di ottima salute, sia andato ad una partita di poker o come in due ore abbia perso 16.000 euro. Per lui scommettere era vitale, scommesse anche banali come quella quando da ragazzo assieme ad altri scommettitori compulsivi scommettevano (soldi) se passava una ragazza con la minigonna o con il pantalone.
A cura di Iosemilly De Peri