Sei metri di lunghezza, tre di altezza, sfondo blu Klein ma sovrimpressa citazione di Chagall: «Nelle nostre vite c’è un solo colore che dona senso all’arte e alla vita stessa. Il colore dell’amore». Dopo qualche settimana in silenzio per fomentare il sintomatico mistero, Matteo Sambero e Martina Pansi hanno giocato a carte scoperte, appendendo una gigantesca mascherina davanti al municipio di Gussago come azione simbolica atta a svelare le rispettive identità parallele di «poeti in mascherina». Così com’era stata ribattezzata in paese e quindi a macchia d’olio sui social la performance artistica in incognito durante la quale, dalla notte del 9 giugno in poi, avevano tappezzato saracinesche e porte di molte attività commerciali di Gussago con oltre duecento mascherine chirurgiche trasformate in veicoli non convenzionali di messaggi. Testi in versi attinti dalle opere dei vari Shakespeare, Foscolo, Calvino, Neruda, giusto per citarne alcuni. Un invito a ricominciare concepito attorno all’idea di stravolgere radicalmente il senso comune legato ai «dispositivi di protezione individuale» e innescato dalla pandemia, ottenendo per riflesso un forte riverbero mediatico, visto che la storia si era spinta ben oltre i confini bresciani, rimbalzando fra siti e quotidiani nazionali. Nel mare di punti interrogativi, un coro s’era sollevato unanime: «Di certo si tratta di qualcuno che ci vuole dire che gentilezza, poesia e bellezza salveranno il mondo». Attraverso un libero flusso di pensieri d’autore «che mai come oggi riusciamo a sentire così vivi». In ordine sparso: «Spesso è da forte, più che il morire, il vivere»; «Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda»; «Se viene l’inverno vuol dire che la primavera è vicina»; «L’immaginazione è la prima fonte della felicità umana», passando per un profetico Montale: «Chissà se un giorno butteremo le maschere che abbiamo sul volto senza saperlo».
È successo e il fatto non è passato inosservato: «L’intenzione era mettere la maxi mascherina indosso ai leoni scolpiti dal Tantardini in piazza Vittorio Veneto, ma siamo stati sorpresi da don Adriano, che ci ha cacciati senza voler sentire ragioni, quindi abbiamo deciso di appenderla davanti al municipio», raccontano Pansi e Sambero. «Certo sui leoni sarebbe stato più bellino, lì è un po’ nascosta». Non abbastanza da non poter essere notato. Anzi…Ironia della sorte, è assai probabile che saranno esposti a palazzo Martinengo, in città, e dunque senza pericolo di censura, gli scatti della serie «View Window», che lo stesso Sambero – 30enne fotografo e «lanciatore» di stimoli comunicativi originario di Gussago – aveva messo in circolo via social nel pieno dell’isolamento, invitando il pubblico a condividere con lui il mondo «visto e non agìto». Unico vincolo: tenere una finestra come «cornice». «Il lockdown ci ha obbligati a chiuderci in casa con le nostre paure, con persone amate, a volte troppo vicine, a volte lontane. L’idea era mostrare un aspetto privato della quarantena e di catturare una visione dell’altrove, dovendo rimanerne privi a lungo». Risultato: quelle 80 fotografie arrivate da ogni parte del mondo, attraverso cui fotografi professionisti e non hanno ritratto e interpretato l’«affaccio» su ciò che era loro precluso, sono ora pronte ad affacciarsi verso inedite prospettive museali. Tutto calcolato? Possibile. Nulla di male, anche se lo fosse. Facoltà di immaginare, licenza di provocare: dopotutto l’arte è anche questo.
Elia Zupelli
Fonte: Bresciaoggi