…’n dèl bèl dè uzèlà ghè mort la siètå!
Appresi questa esclamazione popolare da mia madre a Navezze. Ho detto esclamazione poi diventata un modo di dire o, addirittura, anche un monito(!), un avvertimento. L’appresi all’età di circa due anni quando abitavo nella penultima casa, lato sinistro, di via San Vincenzo in quel cortile: una grande aia allietata dalla presenza di un notevole numero di fanciulli; di quando anch’io stavo ancora e saldamente attaccato all’orlo del grembiule di mia madre, curioso di conoscere, apprendere. L’ascoltai molte volte, soprattutto quando mamma “infiascava” vino prelevandolo da una damigiana di circa 52 litri e trasferendolo – attraverso un quasi trasparente tubo semirigido – in appositi fiaschi da circa 2 litri, i più dei quali recavano ancora paglia ai fini di una protezione e perchè potessero reggersi in verticale, utilizzando pure un piccolo o medio imbuto di metallo.
Osservavo attentamente mia madre stappare la damigiana, dopo averla posta, di peso, abbastanza in alto rispetto al pavimento, appoggiandola su di un barile o su di un cavalletto, infilare una estremità del tubo (cana, o goma dèl vì) dentro l’apertura del grosso recipiente e porre alla bocca l’altra parte, quella in basso, “tirare” un forte sorso di nettare al fine di riempire il tubo ed infiascare, mano a mano, ciascuno dei circa 26 fiaschi. Tutto procedeva regolarmente sino quasi al riempimento dell’ultimo, sempre che non notassi che l’ultimo “sorso” di vino presente dentro il tubo non se ne tornasse nella damigiana per mancanza dell’ulteriore quanto necessaria pressione e l’ultimo dei fiaschi rimanere mezzo vuoto pronto per detto motivo ad essere portato immediatamente sul povero desco, sempre non contenesse un pochino di deposito con necessità di decantazione di almeno 24 ore. Ma era proprio al momento del fiasco “mezzo pieno” che mamma soleva esclamare: “…’n dèl bèl dè uzèlà ghè mort la siètå!”. (Sul più bello dell’uccellagione viene a morire la civetta, che fungeva da richiamo per gli altri uccelli di passo, rimanendodo l’uccellatore con tanto di …naso all’insù; tale e quale come la massaia che pensava avere ancora vino da infiascare, ma …la capacità della damigiana, invece, si era esaurita). Come dire “la festa è finita” ovvero “…non pensare di avere tutto senza limitazioni o disponibilità”, bensì “ricordati che ogni cosa può terminare e proprio sul più bello”; invece, ad eterna disposizione abbiamo, semmai, solo l’eternità futura che anch’essa inizia comunque qui col saper usare, “dosandoli” i beni terreni! Sono trascorsi almeno 72 anni da quei giorni eppur non me ne sono dimenticato; mi è rimasta anche la voglia di quel momento: di poter essere io a …”tirarne un sorso”, non certo per infiascare.
A cura di Achille Giovanni Piardi