Vetro, legno, resina, e tela (sì, ma asportata): la materia che chiama lo spazio va in scena fino a fine mese alla galleria Gare 82 + 395 (“Datemi spazio” a Brescia, via Togni 41, da lunedì a venerdì 9-19, sabato 15-19, chiuso domenica). Una quarantina di opere dei bresciani Paolo Gheda, Alessandro Scalvini, Francesco Levi e Liala Polato riempiono le sale della galleria affrontando il concetto di spazio fisico e mentale.
Il percorso apre con le opere di Levi: 20 raffinatissimi disegni di vario formato, realizzati incidendo la superficie di lastre di vetro nero. La velleità illustrativa è nel tratto fumettistico e ingenuo che sembra voler alleggerire visivamente concetti altrimenti durissimi (come l’atto d’incidere), mentre la narrazione è nelle frasi che accompagnano ciascun disegno (Una per tutte: «Se collego le stelle non viene fuori niente»). Levi graffia e incide i propri incubi, che hannola forma di costellazioni, di uomini con piedi come radici d’albero annaffiate da lacrime femminili, di burattinai che muovono sogni e speranze, fautori della nostra felicità o sconfitta.
Altrettanto fine, seppure di matrice diametralmente diversa, è la serie di 10 tele monocrome di Scalvini. Con la perizia della sua professione di restauratore, l’artista asporta la porzione centrale di ogni tela (collocata poi nel retro dell’opera) e ne riempie minuziosamente lo spazio innestando tela nuova, sagomata da segni e impronte, e uniformata al tutto grazie a un sapiente uso del colore acrilico. Il risultato sono ombre di passaggi cromatici morbidissimi, sinopie di uno spazio mancante.
Spazio strutturale e architettonico nei lavori di Gheda che con legno, laminato lucido e inserti di metallo delinea metafisici skyline di paesaggi industriali, pulitissimi nelle forme e diretti nel colore piatto, come illustrazioni plastiche. Spazio è architettura anche per Polato, che con legno, resina e nylon realizza sculture da parete che, complice anche la sua formazione da architetto, paiono visioni di piante di città dall’alto, i cui moduli pian piano si affrancano da uno schema progettuale per comporre organismi simbolici e mandala.
Bianca Martinelli
Fonte: Giornale di Brescia