L’antico lavatoio aveva anche la funzione di partitore delle acque che, provenienti dalla sorgente di Via Acquafredda, servivano per irrigare i campi della grande proprietà terriera che all’inizio del 1900 apparteneva a Giordani Felice, chimico a Milano ed ex podestà (ecco spiegata l’incisione ”GF 1910” rinvenuta sulla pavimentazione). Dopo la sua morte avvenuta nel 1912, gli eredi Luigi e Giordano dividono i terreni, la casa padronale di Via Sale e il lavatoio con l’annessa zona umida. Da questo momento l’accesso e l’uso della struttura è rigorosamente diviso fra i due proprietari e successivi eredi: la parte nord veniva usata dalle famiglie Cristini, Rosola e Peroni, contadini della cascina di Giordani Giordano, in Via Sale 2, con accesso dal vigneto a sud della villa padronale; la parte sud era invece in uso ai contadini delle famiglie Belussi e Maffeis, contadini della cascina di Giordani Luigi situata ad ovest del lavatoio, in Via Sale 7, con accesso dai campi che anticamente occupavano quella che oggi è la via Trieste e tutta la zona residenziale limitrofa.
Pietro Rosola, classe 1924, ha gestito per anni l’uso del partitore e ci racconta che la fruizione dell’acqua avveniva a settimane alterne da parte delle famiglie legate ai due proprietari del manufatto; i contadini azionavano un sistema di chiaviche che regolava il flusso partendo dalla chiusa principale posta ad ovest del lavatoio. Ad esempio, nella settimana spettante alla famiglia Giordani Giordano c’era un’ulteriore divisione nell’uso dell’acqua: tre giorni ai Rosola, tre giorni ai Cristini e un giorno ai Peroni che essendo anche i ”fattori” delle proprietà gestivano solo una piccola parte dei campi. Il signor Pietro parla del partitore come di un “ patrimonio” in riferimento all’abbondanza d’acqua: si manteneva irrigato un ettaro di marcita da novembre a marzo fino al taglio dell’erba per il foraggio, inoltre, con il contenuto di una vasca, che si riempiva di nuovo in un giorno, si irrigavano tre ettari di campi coltivati.
L’uso “diviso” della struttura si estendeva anche alle massaie: Santa Pedersoli, classe 1929, e Felicina Cirelli, classe 1928, raccontano che all’interno del lavatoio si faceva il bucato solo di piccoli panni sfruttando le banchine laterali in pietra rivolte verso la parte umida perchè l’acqua, anticamente limpida e fresca, veniva usata soprattutto per il risciacquo del grande bucato, lavato in precedenza con cenere e lisciva sull’aia delle cascine. Le nostre lavandaie, quindi, trascinavano lenzuola e tovaglie immerse a piedi nudi nella vasca o inginocchiate sul pavimento esterno, poi si alzavano per strizzare il bucato e sbatterlo vigorosamente sulla pietra di medolo delle banchine che delimitano il lavatoio.
Giorgio Cristini, classe 1944, ricorda che nella zona umida, si pescavano carpe, tinche e pesce persico, entrando direttamente nell’acqua e utilizzando ceste di vimini che normalmente servivano per la raccolta dei bozzoli dei bachi da seta. C’erano anche pochi esemplari di anguille che servivano per il pranzo di Natale. Quando era necessario pulire la fossa dal fango che si depositava sul fondo, si trasportavano momentaneamente i pesci in tini ovali appoggiati per l’occasione sulle rive. All’interno della struttura muraria era funzionante una pompa in ghisa utilizzata sia per il rifornimento d’acqua che per la pulizia del lavatoio stesso. Racconta anche che sulle acque limpide del fossato proveniente dalla Via Acquafredda, scivolava spesso una piccola imbarcazione di legno che trasportava gruppi festosi di bambini impegnati in giocose “imprese di navigazione”. Questo accadeva negli anni cinquanta del secolo scorso e Giorgio era uno di loro.
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Fonte: www.comune.gussago.bs.it