Pietro Zucchetti e la sua corsa a Rio contro il vento

Pietro Zucchetti
Pietro Zucchetti

C’è chi decide di riprovare una campagna olimpica due minuti dopo che ha finito l’ultima prova ai Giochi o magari il giorno seguente alla mancata qualificazione. E c’è chi sostanzialmente stava per appendere la cerata – che sta al velista come la racchetta ai tennisti – al chiodo, perché la rincorsa lo ha mandato in tilt. Tra i bresciani di Rio, Pietro Zucchetti forse è il più sorpreso di esserci il che non vuol dire fortunato, anzi. Gli appassionati ricorderanno il 35enne architetto di Gussago («Mi fa piacere quando lo scrivono, perché a Brescia vivo da cinque anni e non mi lamento ma sulle mie origini non si discute» sottolinea) a prua di Gabrio Zandonà, talento indiscusso, romanissimo, che ha sempre mancato l’acuto. Quattro anni fa, a Londra finiscono quarti, con la consapevolezza del treno perduto. Non a caso, arriva la separazione e Zucchetti decide di tornare all’antico amore, lo skiff 49er, sempre prodiere, del siciliano Giuseppe Angilella: già non è facile trovare l’affiatamento a 1.500 km di auto, figuriamoci non diventare nervosi per i continui forfait del palermitano dovuti a problemi alla schiena.

A fine settembre 2015, la resa di Angilella diventa la sliding door per Zucchetti. «Da un lato ero stufo di stagioni dove vivevo con l’ansia di poter regatare o meno e non per colpa mia, dall’altro non volevo mollare la presa. Ho telefonato subito a Gero e due giorni dopo uscivamo in 49er per la prima volta, scoprendo un notevole feeling: nella vela è più importante che in altri sport, ne sono sicuro». «Gero» è Ruggero Tita, 24enne di Rovereto, cresciuto sul lago di Caldonazzo e diventato adulto sul Garda, sponda trentina. Un talento indiscutibile che si era già tolto la soddisfazione di vincere un Mondiale 49er per i giovani, con a prua Giacomo Cavalli, bresciano come Pietro: anche questo è segno del destino. Il mix di gioventù ed esperienza, tra alti e bassi, ha raggiunto una buona regolarità prima dell’estate, così da convincere la FIV a spedirlo in Brasile. Qualche tecnico ha storto il naso, raramente l’equipaggio lacustre ha messo a poppa i migliori avversari. «Regatiamo insieme da poco tempo ma in certe situazioni possiamo essere molto brillanti – commenta Zucchetti – se iniziamo bene a Rio, penso che un bel risultato sia alla nostra portata. Una medaglia? Difficile, ma non impossibile».

Tranquillo (non spavaldo), il gussaghese che difende i colori delle Fiamme Gialle non dà proprio l’impressione di sentire il peso olimpico, come molti suoi colleghi di nazionale. «Ero sereno nelle settimane prima di Londra 2012, novità assoluta per me. A maggior ragione lo sono ancora di più ora: mi sento maturo e non ho niente da perdere». In fase zen, vera o difensiva che sia, solo un aspetto fa perdere la calma a Pietro: la situazione del mare in cui i velisti gareggeranno. «È peggio di quanto raccontate in Italia, qui non hanno fatto niente per il problema degli scarichi: all’interno della Guanabara Bay, dove ci saranno i campi di regata, il mare è sporchissimo. Quanto alla logistica, siamo fortunati visto che alloggiamo a Niteroi». Le brutture non impediranno alla famiglia Zucchetti di seguire «live» le vicende del loro eroe, come quattro anni fa quando il clan gussaghese era tra i più nutriti ed entusiasti.
E poi, provochiamo, potrebbe essere l’ultima recita acquatica dell’architetto. «Non lo so, in verità. Ci sono aspetti della vela olimpica che mi piacciono e che mi spingono a voler fare sempre meglio, altri che invece mi hanno stufato. Ne riparleremo tra qualche mese, di sicuro c’è solo una cosa: quando mi dicono che ormai sono grande per giocare con le barchette o peggio ancora vecchio, nego spudoratamente». Ecco, Pietro: continui a farlo.

Fonte: Corriere della Sera- Ed. Brescia

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