La “Pieve” di Gussago

La "Pieve" Santa Maria di Gussago

Classico esempio di chiesa “rustica” del secolo XV è anche la Pieve di Gussago, terminata intorno al 1470.

La vicinanza del centro cittadino e l’intervento di un nobile committente, hanno impresso all’edificio qualche tratto decorativo già rinascimentale. All’interno gli archi traversi partono da capitelli pensili a foglia ripiegata o a foglia grassa, di cui alcuni muniti di stemmi di gusto ancora gotico, ma normalmente riscontrabili in edifici della metà del ‘400 e anche oltre. Il portale architravato è sorretto da lesene a candelabro, caratteristiche per gli anni precedenti alla decorazione della chiesa urbana dei Miracoli, ed è affine a quello del S. Corpo di Cristo in Brescia. Il presbiterio comprende una campana voltata a crociera e un’abside poligonale “. (St. Bresc., vol. II, p. 648). Ne “La Pieve e i Prevosti di Gussago”, monsignor Paolo Guerini nota che la datazione è resa possibile dagli stemmi che vi sono sui capitelli e sull’architrave del portale, che si riferiscono al Prevosto Paolo Guaineri, promotore dei lavori, morto appunto nel 1470.

“Il portale della Pieve, come quello di S. Cristo, è mediatamente successivo a quello dei Cappuccini di Barbarano, firmato da Jacopo Filippo da Brescia con la data 1456”. (St. Bresc., vol. II, p. 657). Comune a questi portali, che si collocano benissimo cronologicamente tra il 70 e il 75, è l’adozione della stessa morbida e sommaria stesura dei piani, sia nelle figure dei putti che nei dettagli fitomorfi delle candelabre, che rientra perfettamente nel linguaggio plastico locale. (St. Bresc., vol. II, p. 729). Le severe forme quattrocentesche furono deturpate all’interno da costruzioni barocche di altari laterali per eseguire i quali si dovettero chiudere magnifiche monofore originali in stile gotico. Ai tempi della peste del 1630, (ricordata nell’epigrafe posta in fondo alla chiesa dal Prevosto Fogliata), per norme igieniche l’interno fu imbiancato a calce, e così furono coperti dei buoni affreschi quattrocenteschi, dei quali la Commissione delle Belle Arti, molto, tempo fa, si è limitata a mettere in luce quelli del coro, affreschi che (St. Bresc., vol. II, p. 972) vengono attribuiti al cosiddetto “Maestro di Nave”; affreschi dove la concitazione degli Apostoli raggiunge il momento più alto della drammaticità con un andamento nei soppanni rimossi dei manti, in parte simile a quello del Da Cemmo a Esine.

Da notarsi che, mentre nella parete a sud gli affreschi affiorano qua e là in buono stato di conservazione, quelli in basso della parte nord, date le infiltrazioni d’acqua causate da un terrapieno esterno, ora tolto, sono molto deteriorati o perduti. Possiamo con piacere aggiungere che ora, grazie alla munificenza del Signor Pietro Caravaggi e col consenso della Sovrintendenza delle Belle Arti, si è ripreso il ricupero degli affreschi. Il restauratore Gian Luigi Ravelli, ha già potuto mettere in luce una bella Natività, portante la data del 1° agosto 1476, situata nel mezzo delle figure di S. Alberto Magno e di S. Girolamo Dottore della Chiesa, ambedue del sec. XV. In più una Madonna che accoglie sotto il suo manto una schiera di disciplini incappucciati, e una SS. Trinità raffigurata dal Padre eterno intronizzato, che regge il Cristo crocifisso sormontato da una colomba, e così pure altre figure… Vi sono, oltre il portale ornato dagli stemmi del Comune, del Prevosto Guaineri e della ricca famiglia Casari, altre insigni opere d’arte. La più preziosa, e che meriterebbe un capitolo od un fascicolo a parte (e l’hanno già tentato il Panazza nel 1939 e di recente Brozzi e Tagliaferri in “Opere barbariche di S. Maria in Gussago”), è l’Ambone marmoreo, di forme fortemente barbariche, ormai passato alla Associazione Famiglie Gussaghesi 2 storia come il “pulpito” longobardo di Mavioranus. E’ stato certamente ricuperato dalla chiesa preesistente, e rimesso in opera. Consta di soli due elementi prospettici, poiché fino al 20 marzo 1664 si saliva al pulpito dall’interno mediante una comune scaletta di legno. Qualcuno vedrebbe frammento a se il lato sinistro, ma data l’identica fattura delle due lastre (eseguite certamente da una stessa mano), e considerata pure la stessa altezza (metri 0,94), siamo convinti che siano appartenute ad un medesimo monumento. La scritta MAVI ORANS, che si trova in alto a sinistra tra il pavone ed il serpente, si desume che fu posta come firma del lapicida ad opera compiuta. E’ molto probabile che sia del secolo VIII.

Contenuto simbologico

Premettiamo che la grande lastra facciale è divisa in due da una colonnina, e che le due metà sviluppano e svolgono un identico concetto simbologico. Vista nei particolari: la pecora con la croce, raffigura Cristo (agnello immacolato); il Leone clipeato che lambisce l’uva, è simbolo di Cristo, chiamato nell’ Apocalisse (v. 5-6), Leone di Giuda, che si oppone colla sua ferocia alle forze del male (diavolo). I pavoni bezzicanti uva sono figura delle anime che si nutrono di Cristo. L’idea dell’universo è data dagli otto cerchi inscriventi rose e stelle. Concetto simile è svolto sull’altare di Ratchis e sul pluteo di Sigualdo a Cividale. (Museo cristiano, secolo VIII). Vista ora nel suo assieme: la colonnina che divide esattamente in due la lastra, potrebbe raffigurare, nei suoi tre elementi, Iddio Uno e Trino, reggitore supremo dell’universo; e chi attingerà alle verità di Dio rivelate da Gesù Cristo, contro lui nulla potranno le forze del male, e chi si nutrirà dei frutti della grazia, troverà la sua spirituale salvezza e raggiungerà la vita eterna. E nella risurrezione, l’anima che sarà riuscita contro le forze del male e sarà morta in Cristo, potrà godere della gloria dei cieli nella luce di Dio. Dall’interpretazione simbolica, appare evidente che ci troviamo di fronte ad un elemento che in origine, assieme alla lastra di fianco, dovette costituire un monumento di carattere funerario. ” Il cavaliere, potrebbe raffigurare. Il defunto che nelle vesti terrene si incammina verso l’eternità, mentre l’anima sua, simboleggiata dalla pecora, sembra quasi staccarsi dal corpo” (Brozzi e Tagliaferri). In Storia Bresciana (vol. II, p. 1083) si afferma che nella Pieve ci sono opere di Luca Mombello, discepolo del Moretto, e che si distinse per la finitezza delle vesti e relativi fiorami, nonché per i ninnoli delle dame. Sebbene siano rarissimi i quadri firmati dal Mombello, la pala, tela dipinta ad olio, dalle dimensioni di metri 2,20 x 1,90, ne reca in fondo a destra la firma: Luca Mombellus. Forse perché compiaciuto lui stesso di quest’opera. Vi è raffigurata la Madonna del S. Rosario con S. Domenico che ne predica la devozione. Detta pala è sistemata in una grande soasa lignea antica, che contiene all’ingiro quindici quadretti su tela, di cm. 20 x 20, rappresentanti i misteri del S. Rosario. Buona opera di scuola del Moretto, forse del Mombello, è pure il quadro (m. 2,10 x 1,30) raffigurante S. Elena che innalza la Croce fra i Ss. Lorenzo e Antonio con in basso sei busti di disciplini. Sul bordo del pozzo vi è segnata la data dei 18 gennaio 1594. Ultimo, ma non per valore, il quadro raffigurante S. Brunone che consegna la regola a S. Romualdo, con i Camaldoli nello sfondo. Sia il cinquecentesco quadro di S. Romualdo, sia la pala raffigurante S. Domenico, dovrebbero provenire dallo spoglio dell’ormai abbandonato monastero dei Camaldoli. All’esterno, a sud, 5 piccole ma interessanti formelle di terracotta, portano in rilievo un’effige di Apostoli.

Il campanile a pigna con cella campanaria ad apertura a tutto sesto, è probabilmente anteriore alla chiesa stessa. E ciò non deve apparire strano, poiché nel sec. XIV-XV si provvide alla trasformazione parziale della chiesa preesistente. NB. Mentre erano già approntate le bozze per la ristampa di questo Fascicolo, mi è pervenuta la relazione della conferenza tenuta da Padre Pier Virgilio Begni sull’ambone di Maviorano. Data la importanza, ne faccio un cenno. Vi ribadisce che detto ambone è l’adattamento del sarcofago di un personaggio longobardo, raffigurato nel cavaliere che sta entrando nell’eternità. Associazione Famiglie Gussaghesi 3 Dal fatto che vien rivestito dall’armatura di cavaliere, si desume che fu persona molto influente e ricca. Il ricorrere di tante rosette stellari, non è un riempitivo qualsiasi, ma il segno della presenza del sole nella spiritualità della cultura longobarda, e così pure della vipera che vi era venerata prima di accettare il Cristianesimo. Cultura non fatta rinnegare dal cristianesimo, ma… redenta… E’ questo il filo che unisce e dà un senso logico ai vari simboli. Per la simbologia della lastra frontale:

  • l’aquila è segno del pensiero e della sapienza;
  • il pesce è il simbolo usato sempre dai cristiani ad indicare Cristo;
  • l’aquila che tiene il pesce negli artigli, è il segno della dimensione nuova, dentro la quale si muove il popolo longobardo, che ha lasciato la propria religione e cultura, per entrare nella religione nuova, la cristiana;
  • il cavaliere prende possesso di questa nuova realtà, come vien significato dallo zoccolo della zampa del cavallo, che si appoggia sull’aquila che tiene il pesce;
  • il pavone è segno dell’immortalità;
  • l’agnello che porta la croce, è simbolo di Cristo Redentore;
  • il leone che tiene la coda rivoltata sotto le gambe è segno di profonda umiltà;
  • la specie di lesena che divide la lastra Frontale come in due, e che nasce da una rosetta solare è simbolo dell’albero della vita a cui tutti si volgono;
  • l’aquila che porta il serpente (già adorato dai longobardi) attorciliato negli artigli, è figura della Redenzione anche del serpente, che riscattato, si dirige anch’esso all’albero della vita. Nella lastra laterale dell’ambone, dice, vi è un inno al tema del sole e della Redenzione, come fusi in questa cultura;
  • fra le tante rosette stellari, quella grandissima che ne contiene altre piccole, simboleggia il fluire di questa vita;
  • dentro il grande cerchio, c’è il leone, simbolo della forza, ma che è stato pacificato, come si desume dall’atteggiamento della coda tenuta fra le gambe: leone fatto umile e che si nutre dell’albero della vita, verso il quale tutti tendono;
  • così pure i pavoni che hanno l’uva nel becco, proprio per indicare questa pienezza di vita e di Redenzione.

Fonte: sito Parrocchia Santa Maria Assunta

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