La seconda parte di “La Prima Guerra mondiale, 1915. Gussaghesi alle Armi“: “La civiltà futura avrà le radici nelle vostre tombe”. Motto e garanzia, per noi delle più giovani generazioni monito ed impegno, che i nostri vecchi gussaghesi – reduci della Grande Guerra Nazionale – assicurarono ai loro commilitoni Caduti. Siamo proprio stati fedeli? (Motto tratto dal quadro – manifesto iconografico dei Caduti di Gussago nella Guerra 1915-18). In tal modo, appunto, ripartiamo.
La Prima Guerra mondiale, 1915. GUSSAGHESI alle ARMI
PARTE SECONDA. Tre Gussaghesi combattenti. Testimonianze di gussaghesi o dei loro familiari. I seguenti sono tre REDUCI.
ABENI DOMENICO
Di Andrea. Dimorante al Casotto.
Il nipote di nonno Domenico, Roberto, fa pervenire i seguenti dati e documenti: Abeni Domenico nato a Gussago il 2 Agosto 1886 e morto a Gussago il 23 Maggio 1957; due belle fotografie, una con commilitoni nel ruolo di “Richiamati” alle armi dell’anno 1915, l’altra da solo, nel periodo di leva militare (1907); (…). La famiglia possiede un manoscritto originale, in ventiquattro pagine del formato circa 21×31, redatto nel 1917, dal titolo “I Battaglioni del I° e Ottavo e Nono Gruppo Alpini su Monte Ortigara nel 10 Giugno 1917”.
Domenico appartiene alla famiglia degli Abeni del Cazòt (Sale di Gussago) meglio noti come Barchècc.
[(Roberto Abeni per il tramite di Franco Valetti; Venerdì 19 Ottobre 2012). A cura di Achille Giovanni Piardi, 2012]
ALBERTINI BORTOLO
Di Benedetto e Anna Teresa Aquilina Codenotti, nato a Gussago il 23.1.1880.
Zona del Tonale, Fronte di guerra. Arruolato nonostante fosse padre di 4 figli ed avesse già compiuto 35 anni. (A cura di Achille Giovanni Piardi, 2005)
ALBERTINI GIUSEPPE
<<Nato a Gussago il 2 marzo 1896. Figlio di Benedetto “Baléc”. “A 19 anni partì per il fronte durante la prima guerra mondiale. Sopportò la vita di trincea sulla Cima 10. Il suo battaglione fu spostato alla Cima 9. Come tutti i combattenti anche lui fu imbottito di cognac, rhum e cioccolato che mandavano americani e francesi. Dal fronte aveva ottenuto il permesso di scendere fino a Padova per incontrare sua madre che stentò a conoscerlo tanto era sporco, magro, lacero. Per tutta la vita gli restò l’amarezza della disfatta di Caporetto. Il suo battaglione fu, infatti, uno dei primi a scendere dalla montagna e a disperdersi. Ricordava di essere entrato in una nella casa con la speranza di trovare ristoro. Trovò una tavola imbandita dove in una zuppiera fumava ancora la minestra. La famiglia era fuggita all’improvviso abbandonando tutto per timore di cadere nella mani tedesche. Capì la catastrofe della ritirata e anch’egli fuggì con alcuni compagni. Raccontava che durante la ritirata di Caporetto, mentre le truppe scappavano allo sbando, riuscì ad alleviare il carico dello zaino caricandolo su una mucca, e che la vista di galli, anziché crocifissi, sui campanili delle chiese gli dava un senso di estraneità e lontananza che accentuavano l’angoscia. Lungo la strada vedeva le caserme, i depositi di viveri (che permisero ai tedeschi di resistere ancora una anno alla guerra e munizioni abbandonati, incontrava soldati che fuggivano dalle caserme all’impazzata. Donne, bambini, vecchi friulani che con un piccolo fardello fuggivano a piedi sotto la pioggia, senza una meta fissa. Al Piave gli ufficiali fermarono gli ultimi soldati perché dovevano prepararsi a combattere. Fecero saltare tutti i ponti per impedire l’avanzata tedesca. Questa terribile esperienza lo condizionò per il resto della vita rendendolo comprensibilmente privo di slanci e poco incline ad assumere rischi e responsabilità. (…). (…). Morì all’età di 79 anni l’anno 1975.>>. (Da “I Baléc” di Giorgina Albertini). (Achille Giovanni Piardi, 2005).
[Lavoro a cura di Achille Giovanni Piardi da GUSSAGO, da suoi lavori inediti]
A cura di Achille Giovanni Piardi