Quacc agn ghet nòm?

Civine ai "Sore" Peroni, anni Cinquanta

Sì, proprio così: “Quacc agn ghet nòm?”. Espressione in uso a Gussago, soprattutto a Navezze, ancora anche agli inizi degli anni Sessanta del secolo XX. Di per sé quasi, si direbbe oggi, una contraddizione nei termini. Infatti la traduzione letterale della forma interrogativa suonava, suonerebbe, così: QUANTI ANNI HAI NOME? (…mi si sta chiedendo quanti anni ho o qual è il mio nome?). In realtà si tratta/trattava di un tipico modo in uso a persone adulte/anziane di insegnare ad un ragazzino – non di quel cortile promiscuo dove si era introdotto per la prima volta a giocare con altri coetanei – di presentarsi. La domanda un po’ burbera ed allo stesso modo abbastanza intricata poneva il ragazzo nella condizione di dimostrare d’aver comunque afferrato il senso compiuto della domanda e rispondere compiutamente. Infatti, la risposta di quel bambino/ragazzo, in genere e ad esempio, era del tipo: <<Go ses agn, è so Achìle>>.

E, tanto per andare al sodo delle cose, la domanda di rincalzo da parte dell’anziano: <<Achìle chi? Ghè ‘nè dè Achìle! Achìle di Stalècc? (…personaggio civinese, noto anche a Navezze per possedere delle stalle/tte in zona detta Ghèèsèss – Pià dè San Martì, leggasi Gavessezzo – Piano di San Martino)>>. Questa seconda interrogazione portava il ragazzo a dire di chi fosse figlio, chi fosse il padre! Continuando, il ragazzo aggiungeva: <<Achiìle, e èl me bubà l’-è Cèco>>. Immediata l’affermazione confermativa dell’adulto, sia per dimostrare che aveva ben inteso come, altrettanto, per far capire al ragazzo che si era espresso, presentato, correttamente e che ciò fosse sicuro viatico o preparazione a successiva analoga domanda da parte di altro adulto/anziano, sia in quel cortile in cui si era appena introdotto, come in un altro in cui gli potesse capitare di entrare al fine di intrattenersi con suoi coetanei: <<Ah, Achìle, fiöl dè Cèco Piardi!>>. Questo accadeva, capitava ancora ai bambini o ragazzi in quei lontani anni Cinquanta ed inizio dei Sessanta del secolo scorso, in particolar modo in quel di Navezze, la valle al tempo denominata dal vulgo gussaghese “Al dèl patöss”. Certo del fogliame da strame, “chèl dè fa lèt”, per le bestie in stalla! Un fatto è certo: se si voleva il fogliame da strame, di cui moltissime famiglie avevano assoluto bisogno, in luogo della paglia (ricavata dagli steli del frumento) oramai terminata, bisognava – da ottobre a marzo – recarsi a Navezze. Una modesta, ma sicura entrata per quelli di Navezze i quali andavano di notte, comunque prima dell’alba, sulle dorsali collinari a rastrellare il fogliame, pure su altrui sito, onde guadagnare (…negli anni Quaranta/Cinquanta) anche solo 20 centesimi di Lira “al masöl” (al mazzo), ben legato con “dè le stròpe” (Virgulti legnosi tratti dai cespugli di castagno di bosco ceduo) al fine di poterlo facilmente trasportare, dal compratore, sino alla stalla di proprietà per mezzo di un carretto agricolo trainato da mulo o cavallo). Venti centesimi per poter far festa con gli amici, il pomeriggio di domenica, innanzi mezzo litro di vino sfuso servito in quei contenitori appositamente tarati quali unità di misura (1/4, ½, 1 litro). Ricordi di 66 anni fa. “Tempus fugit” si leggeva, un tempo, sugli orologi antichi a pendolo (letteralmente: “Il tempo fugge”). [L’espressione deriva da un verso delle “Georgiche” – III, 284 – del mantovano Publio Virgilio Marone: (Latino) «Sed fugit interea fugit irreparabile tempus»; (Italiano) «Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo». Il tempus fugit è anche una filosofia di vita secondo cui non bisogna fare previsioni a lunghissimo tempo ma al massimo, assumersi impegni a breve tempo anche per farli al meglio perché, appunto, il tempo “fugge irreparabile”. Come dire: Signore aiutaci a fare e con solerzia, ma “insegnaci a contare i nostri giorni”].

A cura di Achille Giovanni Piardi

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