Sono più di tre milioni gli italiani che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare. Oltre il 4% della popolazione. Non solo le classiche anoressia e bulimia, ma una gamma infinita di sfumature patologiche legate al rapporto con il cibo. Abbattuti i miti delle ossa in passerella e della «malattia del buon tempo», chi ne è affetto potrebbe essere il nostro vicino di casa, la cassiera al supermercato, la ragazzina del secondo banco. Sebbene i disturbi alimentari riguardino prevalentemente le giovani donne, si ammalano sempre più bambini e adulti dopo i 40 anni, anche di sesso maschile.
Brescia conferma la media nazionale per quanto concerne i casi colpiti, tendenza che ha subito un’impennata negli ultimi vent’anni. Ma attenzione: prima di parlare di «epidemia» occorre notare che oggi le persone malate sono più propense a chiedere aiuto e a farsi curare. In città ci sono due servizi pubblici per i disturbi alimentari, entrambi facenti capo all’Ospedale Civile. Per i bambini e gli adolescenti fino ai 16 anni la direzione è la Neuropsichiatria infantile diretta da Elisa Fazzi, un reparto non specializzato nei disturbi alimentari, ma attrezzato per far fronte ai casi di emergenza e per la terapia ambulatoriale. Sono circa una trentina i giovanissimi pazienti (si parte dai 6 anni) seguiti dalla Npi del Civile. Tra il 2015 e il 2016 ci sono stati 12 ricoveri: una scelta intrapresa nei casi di marcata gravità o se è necessario un breve allontanamento dall’ambiente domestico.
Diversa è la situazione al Centro per i disturbi del comportamento alimentare (Cdca) del Civile, con sede al Richiedei di Gussago. Qui i pazienti hanno un’età compresa tra i 16 e i 50 anni e sono seguiti in regime residenziale, di day-hospital e ambulatoriale. Fondato vent’anni fa dal prof. Fausto Manara e divenuto centro pilota regionale. Il Cdca prevede un percorso (almeno 4 mesi) basato sulla riabilitazione nutrizionale e sulla terapia cognitivo comportamentale: si ragiona per fasi e per obiettivi, aumentando gradualmente l’autonomia dei pazienti. Soprattutto all’inizio vengono limitati i contatti con il mondo esterno: una o due visite settimanali da parte di parenti e amici, niente cellulare né pc. Il direttore Lombardi. «Lo scopo – spiega il direttore Mario Lombardi – è duplice: permettere al paziente di concentrarsi solo sulla cura e allontanarlo temporaneamente dal contesto in cui ha coltivato la sua malattia». Lo scorso anno sono stati 42 i ricoveri e 36 i day-hospital, mentre l’ambulatorio ha erogato circa 4.000 prestazioni. «Il nostro è un programma collaudato da tempo – sottolinea Lombardi -, ma l’auspicio per il futuro è di poter dare un sostegno maggiore alle famiglie». I genitori, appunto. Spaventati, spesso ritenuti colpevoli della malattia dei figli, nella maggior parte dei casi brancolano nel buio e si sentono soli. Per questo nel 2012 è nato «Nuovi orizzonti», un gruppo Ama (auto mutuo aiuto) con sede in via San Zeno, in cui mamme e papà si incontrano due sere al mesee per qualche ora condividono esperienze e vissuti sui disturbi alimentari dei figli.
Chiara Daffini
Fonte: Giornale di Brescia