Non passa settimana che Vincenzina, dimorante in Argentina dal 1949, figlia di Pietro Piardi e Palmira Isabella Bà, non mi parli dei nonni, Achille Domenico Piardi (1880), ma, soprattutto, di Giovanni Battista Bà (1871). Oggi per farle cosa gradita, è una sorpresa poiché Vincenzina non può saperlo, ho ritrovato tra le mie tante “carte”, unite ai 2400 volumi, il ritaglio del Giornale di Brescia, del 6 dicembre 1961, che uniamo qui e dal quale partiamo. Partiamo dalle parole frutto di sentimenti d’altri tempi o come sottolinea il giornalista chiudendo il pezzo della sua intervista: “Parole che appartengono ad un tempo remoto, a testimonianze di un’età assai dissimile dalla nostra”. 60 anni fa!
Al giornalista Gianni Esposto di notissima famiglia di Castegnato, ben conosciuto anche da parte di chi qui scrive questo ricordo, Giovanni Bà nel congedarlo, in quel giorno d’inizio dicembre 1961, gli rammenta: “I pericoli corsi e le fatiche sostenute furono cosa, è vero, indicibile, ma perché non creda che io abbia sofferto assai le dirò che ogni più grande fatica per chi ama veramente la Patria non è che un caro passatempo, ed io lo so per prova”. Abbiamo cominciato dalla conclusione di detta intervista rilasciata dal nonagenario Giovanni Battista Bà da Piedeldosso, siamo comunque convinti ne sia valsa la pena.
Vincenzina nata a Navezze – nel grande cortile dei Piardi ubicato poco prima del Carrebbio – successivamente visse, dal 1939 al novembre 1949, a Piedeldosso, contrada di dimora dei suoi nonni Giovanni Battista e Teresa Marzi in quel loro antico, bel, cortile. “Nonno aveva un debole per me, a differenza delle altre mie cugine, non mi faceva mai rilievi di sorta. Col nonno andavo al campo, quello sito in Pèndolìna: mi chiamava col bell’appellativo di maestrina. Mi veniva sempre a chiamare per andare, come ho detto, sia al campo come altrove o portarmi a casa sua, anche quando abitavo – a distanza di soli tre minuti di cammino – di fronte alle cancellate di villa Chinelli – Colonna e guardavo sia la villa quanto la salita di Via Sovernighe ‘Suèrnìghe’ come dire ‘sùer nigoi’, sopra le nuvole, e – da lontano – anche il santuario della Madonna della Stella. Nonno Giovanni mi portava sempre i frutti, primizie del suo campo. Come non ricordare quegli anni a Piedeldosso!”
Tutto accadde prima del mio imbarco a Genova – per raggiungere papà, partito ancora a gennaio dello stesso anno – diretta, con mamma e mia mia sorella Adelina ed in compagnia di altri gussaghesi, al porto di Buenos Aires e poi via terra sino a Mendoza – due giorni di ferrovia – verso le Ande, quelle Ande che nell’immaginario di noi, bambini e ragazzi, scolari gussaghesi, risaliva al racconto “Dagli Appennini alle Ande”. “Dagli Appennini alle Ande” tratto dal libro “Cuore” (edito nel 1886; tradotto nelle principali lingue del mondo), il celebre romanzo di Edmondo De Amicis che immagina di riprodurre il diario di un ragazzo, Enrico, di famiglia torinese durante la terza elementare in una scuola di Torino. Ai capitoli del diario si aggiungono nove racconti, presentati mensilmente dal maestro della scolaresca, incentrati sulle avventure spesso drammatiche di bambini italiani di varie regioni. Dagli Appennini alle Ande è il racconto del mese di maggio e mantiene, a dispetto del tempo passato, un’imprevedibile attualità anche ai nostri giorni di questi avanzati anni duemila.
La mamma del piccolo scolaro torinese ha da tempo lasciato la sua casa, il marito e il figlio per recarsi presso uno zio in Argentina al fine di trovare lavoro per aiutare la famiglia; siamo nella seconda metà dell’Ottocento. Da molti mesi, la donna non dà più notizie di sé; il piccolo figlio desideroso di ricongiungersi a lei, decide di recarsi nella lontana America. Eludendo la sorveglianza di suo padre e della famiglia, il ragazzino si imbarca clandestinamente, a Genova, su una nave in partenza per l’Argentina. Durante il viaggio viene scoperto da un marinaio, ma l’affettuosa protezione di due emigranti gli consente di sbarcare. Recatosi all’indirizzo dello zio, scopre che questi è morto e che la mamma ha lasciato quell’abitazione. È l’inizio per il piccolo emigrante di un’estenuante e faticosa ricerca dell’amata mamma. Il viaggio per mare è già un’impresa per un ragazzo di quell’età tutto solo, ma sono ancora più emozionanti e avventurose le vicende che lo attendono in quella terra sconosciuta e lontana. Troverà infine la mamma gravemente ammalata, oltreché in pena per i suoi cari lontani, ma con il suo arrivo riuscirà a fare in modo che si salvi. [Il libro ottenne subito un grande successo. Basato sulla vita di tutti i giorni di una classe di alunni fra gli otto e i dieci anni in una scuola di Torino e degli adulti che li circondano. Il periodo storico riveste un’importanza fondamentale nel fare da sfondo alle vicende narrate. Siamo infatti all’indomani dell’Unità d’Italia e De Amicis si prefigge come obiettivo principale quello di insegnare ai nuovi cittadini del Regno le cosiddette “virtù civili”: l’amore per la patria, il rispetto per le autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio e l’eroismo, la carità e la pietà, l’obbedienza e la pazienza nelle tribolazioni. (Marcello D’Orta)].
Lo stesso viaggio intrapreso da Vincenzina ed Adelina – qui accompagnate da mamma Palmira Bà – che farà loro incontrare, sia per mare quanto in terra Andina, ancora più emozionanti e avventurose vicende che le attendono in quella vastissima terra sconosciuta e lontana da ogni immaginazione gussaghese. In quel 1961 – pienezza delle cerimonie ufficiali per il Centenario dell’Unità d’Italia (anche chi ora scrive e ricorda si trovava a Torino per Italia ’61). In quei giorni di festa per il suo novantesimo genetliaco attorniato da tanti figli e moltissimi nipoti, venti – afferma il cronista Esposto – Giovanni Bà pensa alla mancanza dell’unica figlia – Palmira, dimorante in Argentina – la quale gli fa però pervenire un telegramma di felicitazioni: “Impossibilitata esserti vicino, abbiti i più cari auguri per i tuoi anni felici”. Dopo la partecipazione quale bersagliere alla Campagna d’Africa 1895/96 (culminata con la disfatta di Adua) ed essere scampato all’agguato del forte di Macallé, che definisce ‘miracoloso’, ancora è deciso a salire la insicura scala a pioli appoggiata al fienile per recarsi al piano superiore della propria abitazione. Giovanni Bà che, infatti, “guarda ancor oggi con occhio incredulo le cose nuove del mondo nuovo; preferirebbe affrontare a viso aperto il Negus dei suoi tempi africani, anziché salire la normale scala di pietra levigata della sua linda casa”. Era il 1961.
Cosa direbbe ora nonno Giovanni Battista, bersagliere, che di anni ne sono trascorsi altri sessanta e si appresterebbe a compierne 150 a dicembre?
A cura di Achille Giovanni Piardi