Le Rogazioni

Rogazioni propiziatorie per la campagna
Rogazioni propiziatorie per la campagna

A primavera, non appena la stagione cominciava a mettersi al bello e la natura era in pieno risveglio e verdeggiava tutti i colli e le vallette intorno alla nostra Gussago, ci si alzava di buon mattino, si partiva in processione dalla chiesa Parrocchiale ed ogni Contrada vi teneva la propria. Lasciato l’abitato del paese, si faceva un lungo percorso per strade, sentieri e campi: un percorso che si ripeteva identico ogni anno. Ogni anno la guazza mattutina ci bagnava le scarpe nella frizzante frescura delle tipiche mattinate primaverili.

In testa alla processione c’era sempre la Croce portata da un chierichetto con tanto di cotta con ai lati altri due chierici uno dei quali suonava ininterrottamente il campanello e l’altro portava l’aspersorio con l’acquasanta che poi il Parroco (Prevosto od arciprete) utilizzava per le benedizioni dei terreni. Seguiva il prete con la stola ed il cappello in testa e dietro di lui i rappresentanti delle varie Confraternite spesso con le loro casacche colorate. Dietro, le donne, i bambini e in fondo gli uomini.

Il prete intonava le litanie delle Rogazioni ed il coro di paesani rispondeva a tono con partecipata devozione. Il percorso era studiato, come dicevo prima, in modo che tutto il territorio dei terreni di pertinenza parrocchiale potesse, sia pure a distanza, essere visto. Le litanie del percorso di andata imploravano l’ ora pro nobis da tutti i santi mentre quelle del percorso di ritorno erano rivolte direttamente al Signore. Quando si arrivava nei punti prestabiliti, sempre fissi negli anni, la processione si fermava. Allora il Parroco ricevuta la Croce Astile dalle mani del chierichetto la alzava e rivolgendosi ai quattro venti (quattro punti cardinali), cominciava: “A folgore et tempestate” (ossia dalle folgori e dalla tempesta) e tutti gli altri inginocchiati a terra rispondevano “Libera nos Domine” (ossia Liberaci Signore), mentre lo sguardo d’ognuno andava verso il proprio campo dal quale ci si attendeva rigogliosi frutti. Poi, in quell’aria tersa e gaia di primavera, altre implorazioni (rogazioni): “A peste, fame et bello” (ossia dalle malattie, dalla fame e dalla guerra) e la gente sempre a rispondere “Libera nos Domine”. E così, ad ogni fermata, si andava avanti per alcuni minuti in questo fraseggiare latino che tutti però capivano benissimo. Il rito finiva sempre con l’aspersione dell’acquasanta verso i quattro punti cardinali mente tutti si segnavano con un segno di croce e, muovendo quel minimo le labbra, ringraziavano e rivolgevano chissà quale preghiera al Signore. Si riprendeva poi il cammino verso la chiesa del paese, ma la processione perdeva un poco della sua concentrazione e tutti, osservando con attenzione i campi, si lasciavano andare a commenti sui lavori, sui coltivi, sull’anticipo o sul ritardo della stagione, sulle previsioni dell’annata sui danni o i doni della coltre nevosa appena scomparsa. Terminato il percorso, si rientrava.

Gli anziani conservano ancor oggi, a tanti anni di distanza, un caro ricordo di quel rito, di quelle mattinate fresche e luminose, di quella gioia che ti prende quando senti che sta per nascere un nuovo giorno. Ricordo i vestiti semplici eppur vistosi delle donne, i loro variopinti fazzoletti a coprire il loro capo le giacche di velluto degli uomini profumate e odoranti di cascina. Così come ricordano il gesto solenne del Parroco, sotto il suo cappello nero mai tolto (La Berretta o Tricorno), quando alzava la Croce e volgendola ai quattro venti implorava aiuto e protezione a Nostro Signore.

Riportiamo in Latino ed in forma ridotta alcune delle Litanie:

Kyrie elèison – Christe elèison – Kyrie elèison; Christe, audi nos – Christe, exàudi nos
Pater de caelis Deus, miserere nobis; Fili Redèmptor mundi Deus, miserere nobis; Spìritus Sancte Deus, miserere nobis; Sancta Trìnitas unus Deus, miserere nobis
Sancta Maria, ora pro nobis
Sancta Dei Gènitrix, ora pro nobis
Sancta Virgo Vìrginum, ora pro nobis
Sancte Michael, ora pro nobis
Sancte Gabriel, ora pro nobis
Sancte Raphael, ora pro nobis
Omnes sancti Àngeli et Archàngeli, orate pro nobis
Omnes sancti beatòrum òrdines, orate pro nobis
Sancte Joannes Baptista, ora pro nobis
Sancte Joseph, ora pro nobis
(…)
Omnes sancti Discìpuli Dòmini, orate pro nobis
Omnes sancti Innocèntes, orate pro nobis
Sancte Stèphane, ora pro nobis
(…)
Sancte Ambrosi, ora pro nobis
Sancte Augustine, ora pro nobis
Sancte Hieronyme, ora pro nobis
(…)
Sancte Nicolae, ora pro nobis
(…)
Sancti Zenoni et Eurosiae, orate pro nobis
Sancti Abdon et Sennen, orate pro nobis
Sancte Francisce, ora pro nobis

Alcune santelle campestri sono collocate al limite degli antichi abitati o in corrispondenza dei confini tra due parrocchie o due Comuni. Questa posizione in particolare non si può escludere che rimandi, almeno in alcuni casi, ad una remota antichità. Del resto, è abbastanza frequente che le santelle più lontane dal paese siano intrinsecamente legate alle processioni delle Rogazioni, derivate quasi senza soluzione di continuità, nei secoli IV-VI d.C., dai primaverili riti pagani della fertilità. C’è addirittura chi ritiene che i percorsi rogazionali rappresentino le ultime testimonianze dei millenari riti latini (o forse celtici) di ricognizione dei confini della comunità.

Due tipi di Rogazioni furono tradizionalmente celebrate dalla Chiesa, almeno nel bresciano. Le cosiddette Rogazioni (o Litanie) maggiori, di origine romana, si svolgevano il 25 aprile, festa di San Marco (qualcuno sostiene per un tributo a Venezia), ed avevano carattere propiziatorio per l’agricoltura. Più radicate nella nostra tradizione locale erano, invece, le Rogazioni minori, di origine gallicana, nei tre giorni precedenti l’Ascensione, con un’impronta intensamente penitenziale. Col tempo gli aspetti propiziatori e quelli penitenziali confluirono in una liturgia uniforme per tutte le ricorrenze rogazionali.

Croce Astile
Croce Astile

Caratteristica preminente del rito erano le lunghissime processioni, con itinerari fissi per ciascun giorno, che partivano all’alba da una chiesa del paese, e percorrevano le campagne, col canto di litanie e invocazioni, fino ai confini della parrocchia, dove talora si incontravano con gli analoghi cortei delle parrocchie vicine. Ogni itinerario prevedeva almeno una tappa presso una santella: il corteo si arrestava e il celebrante con la croce processionale benediceva solennemente le campagne verso i quattro punti cardinali. Oggi questa tradizione popolare è scomparsa dovunque: tanto più è urgente, perciò, fissarne memoria.

A Civine le Rogazioni, almeno sino al tempo del parrocchiato di don Piero Chitò, dopo aver percorso la Contrada dal basso verso il monte, terminavano a Riviere, proprio innanzi la Santella dei Santi Abdon e Sennen (Territorio di Brione, ma Parrocchia di S. Girolamo in Civine). Da alcuni decenni, specie dopo i restauri degli anni ’60 del Novecento, la santella è divenuta il centro di una festa popolare della contrada, alla fine del mese di Luglio. Trecento metri prima di giungere a Riviere, al bivio per la località detta Gussarini, si incontrava durante le Rogazioni la santella delle Vergine Maria Immacolata.

Se l’attuale interesse per la ricerca e la valorizzazione di documenti, monumenti, reperti di storia locale non costituisce solamente l’adesione ad una moda passeggera, bensì un richiamo alla ricerca delle proprie radici che affondano nel passato ma illuminano il presente, notevole rilievo dovrebbe rappresentare il recupero materiale – e prima ancora culturale – delle santelle che sopravvivono lungo le vecchie mulattiere e strade del paese. A tale recupero l’Amministrazione Comunale di Gussago ha voluto dare una notevole spinta promozionale, invocando anche la collaborazione dei privati e delle istituzioni operanti localmente, con la pubblicazione del volume Le Santelle di Gussago (Dicembre 1998). Dal punto di vista artistico ci sono alcuni affreschi che meritano di essere salvati dallo sgretolamento progressivo delle malte provocato dalle piogge acide di questi ultimi decenni.

Durante le processioni si cantavano le Litanie dei Santi ed alle santelle si faceva “stazione” per la benedizione impartita dal parroco con la croce astile rivolta ai quattro punti cardinali con le quattro invocazioni:”a morte perpetua, a fulgore et tempestate, a flagello terremotu, a peste, fame et bello”, alle quali il popolo rispondeva ogni volta:”libera nos Domine!”. Era l’occasione per i ragazzini e particolarmente per i chierichetti di chiedersi che cosa c’entrava il “bello” tra le tante brutte cose da cui si pregava liberamente. Ricevevano allora la prima lezione di latino, la lingua ufficiale con cui ci si rivolgeva allora a Dio, ed imparavano che quel “bello” era anche lui una gran brutta cosa: la guerra. L’avrebbero purtroppo conosciuta appena fatti grandi! Oltrechè manifestazione e termometro della religiosità popolare le santelle possono essere viste e datate come espressione della evoluzione storica del culto mariano.
Nei giorni delle rogazioni, quelle che precedevano l’Ascensione di Gesù al cielo, al mattino, dopo la prima messa la processione usciva di chiesa; davanti tre chierichetti: quello in mezzo portava il Crocifisso e gli altri due un candelabro con la candela accesa, poi, un quarto, il secchiello dell’acqua santa che serviva per benedire la campagna. Dietro, le donne con il capo coperto da uno scialle o da un velo nero e, per ultimi gli uomini, pochi in verità, perché la maggioranza si recava al lavoro. Preghiere particolari, come detto, venivano recitate in occasione delle Rogazioni: “A peste, fame et bello”; “A fulgure et tempestate”; “A flagello terremotus”; “Libera nos Domine” (“Dalla peste, dalla fame e dalla guerra”; “Dal fulmine e dalla tempesta”; “Dal flagello del terremoto”; “Liberaci o Signore”) ed oggi, che ogni giorno i mass media ci portano notizie di gravi attentati che funestano la vita di tante popolazioni, tutti dovremmo rivolgere, al Signore, con tanta Fede un’altra invocazione che si trova nelle Litanie dei Santi: “Ut cunctis populis pacem et veram concordiam donare digneris”;“Te rogamus audi nos” (Affinché ti degni concedere pace e vera concordia a tutti i popoli, ti preghiamo, ascoltaci, Signore). Quando pregavamo così, quanta più Fede albergava nei nostri cuori: una Fede semplice, fiduciosa, totale che aiutava a fronteggiare ogni difficoltà della vita, allora molto più dura e misera. Ora questa Fede si è affievolita e spesso mettiamo da parte il Signore o, peggio ancora, lo dimentichiamo. Tante pratiche di pietà ci sembrano vane, inutili, superate: ognuno di noi si sente capace di gestire, da solo, la propria vita: forse se i giovani ed i meno giovani (Noi) ritrovassero la Fede di una volta, oggi la vita sarebbe certamente migliore.

A cura di Achille Giovanni Piardi

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