Serve coraggio per gestire il futuro della sanità, per ottimizzarne le risorse, per razionalizzare le strutture e rispondere alle esigenze del territorio. Se poi bisognerà sacrificare qualche primariato in un ospedale minore non sarà nulla di irreparabile. Il coraggio è quello che devono darsi i direttori delle Aziende socio sanitarie territoriali che entro la fine di ottobre dovranno presentare alla Regione Lombardia i Poas, i piani organizzativi strategici aziendali. «Lì vedremo le capacità dei direttori generali di interpretare la riforma». Fabio Rolfi, consigliere regionale della Lega Nord, presiede la commissione sanità al Pirellone considera quella dei Poas la palestra nella quale misurare sia le capacità dei direttori generali, sia l’efficacia della riforma.
Consigliere Rolfi, molti sostengono che la riforma fatica ad ingranare, che non si è ancora mosso nulla. Lei cosa ne pensa?
«Come Regione, dopo aver varato la riforma ora saremo chiamati ad elaborare due strumenti indispensabili per poter continuare ad incidere sul sistema: il piano socio sanitario regionale, che avrà valenza quinquennale, e il piano della prevenzione. Quest’ultimo contiamo di approvarlo entro dicembre; sul socio sanitario siamo un po’ in ritardo e ne riparleremo agli inizi del prossimo anno».
Ma una riforma si misura anche da altri fattori, da come si riorganizzano i settori.
«Per quello ci sono i Poas che le aziende dovranno presentare entro fine ottobre. Quella sarà la cartina tornasole per misurare le capacità dei nostri direttori generali». Si spieghi. «In quello strumento di programmazione scopriremo se i manager sanitari sono stati in grado di costruire una rete che funzioni e che metta in relazione gli ospedali con il territorio e con gli operatori che vi lavorano, dai consultori ai medici di base, passando per i servizi. Per far questo ci vuole coraggio anche in base alle linee guida che la Regione ha dato per costruire, ad esempio, i reparti. Abbiamo codificato requisiti minimi al di sotto dei quali bisognerà procedere con gli accorpamenti».
Già ora ci sono elementi che dicono che a Brescia ci sono punti nascita vicino alla soglia di sopravvivenza e sicurezza e ci sono presidi dove alcune prestazioni hanno numeri tali per cui si fatica a giustificarne l’esistenza.
«È un tema determinante che si sposa con il nodo di tutta la riforma: la riconversione di alcuni ospedali. Qui i direttori generali dovranno essere coraggiosi (perché dovranno resistere alle pressioni di un territorio), ma anche bravi, perché dovranno far capire che se si riconverte una struttura questo è un passo necessario per avere qualcosa di più e non qualcosa di meno per il cittadino. Se io tolgo, per fare un esempio, un servizio di oncologia a Iseo che fa numeri troppo bassi e lo porto a Chiari per far posto ad un servizio direttamente collegato con il territorio, offro qualcosa in più e non qualcosa di meno».
Lei parla di costruzione della rete, ma non è cosa facile. Riuscire a far dialogare i vari soggetti può non essere scontato: i medici di base, ad esempio, non rispondono contrattualmente alla Regione, anche se sono gli interlocutori più naturali per chi deve tessere un legame tra ospedale e territorio. «I medici sono basilari per la costruzioni di queste relazioni con il territorio. Sono pedine essenziali anche per il ruolo dei Pot. Mi fa piacere che anche l’assessore regionale proprio in un intervista al Corriere abbia ridato slancio a quelle sperimentazioni come i Creg (la gestione dei cronici a domicilio governata dai medici di famiglia, ndr). Spero che i Creg partano anche a Brescia valorizzando il ruolo dei medici di base».
Ma non c’è il rischio che questa riforma fatta con risorse tanto scarse finisca per rispondere non tanto alle esigenze del territorio quanto alle dinamiche interne di un’ azienda che se, ad esempio, ha criticità di personale in un determinato settore potrebbe essere tentata di dirottare lì e non sul territorio le poche energie disponibili?
«Non credo, anche perché non tutto il personale è fungibile e poi perché è nell’interesse dell’organizzazione aziendale che questo non accada: la miglior gestione del territorio equivale anche alla miglior gestione delle risorse. Se lavoro bene sul territorio, avrò reparti ospedalieri meno affollati».
Parliamo di riorganizzazione. È unanime l’impegno a non chiudere alcuna struttura. Conferma?
«Confermo. Ma mi auguro , però, che i direttori seguano le linee guida e non si facciano condizionare dalle pressioni territoriali, anche se bisognerà lavorare con gradualità. Dopo tutto abbiamo fatto battaglie contro la chiusura del punto nascite di Gardone, ma i bambini continuano a nascere in Valtrompia e con più sicurezza. Un conto poi è chiudere i primariati, altro i reparti. Spesso è lo stesso territorio che decreta la chiusura di un servizio perché si rivolge ad altri centri più affidabili».
Sul territorio esistono poi situazioni che andrebbero chiarite. Il Civile, ad esempio, ha deciso di lasciare il Richiedei spostando la geriatria a Montichiari e la riabilitazione cardiorespiratoria a Gardone Vt. Gussago, al contrario, si autocandida, per uscire dalle secche finanziarie, a diventare presidio ospedaliero territoriale proprio dell’Asst di Brescia. Che fare?
«Io ho fatto parte della corrente di pensiero che avrebbe voluto Montichiari fuori dall’influenza del Civile temendo una gestione problematica visto che il territorio appartiene all’Asst del Garda. Io credo che il Richiedei abbia tutte le caratteristiche per essere un interessante Pot privato nell’orbita del Civile. Il fatto che Montichiari possa qualificarsi come polo geriatrico di Brescia la vede difficile. Su questo tema so che all’assessore non dispiacerebbe la sperimentazione di pot privati al servizio del territorio. Io dico che va bene, ma non metterei in concorrenza Fondazioni che hanno tradizioni territoriali e uno spirito no profit, con privati con spalle ben più larghe e solide».
Una riflessione sui privati, come vede il loro ruolo?
«La legge conferma un sistema concorrenziale. Siamo consapevoli che c’è privato e privato, la sfida della riforma è quella di chiedere loro di non occuparsi solo dell’acuto, ma anche del post acuto, attività meno redditizia. Se riuscirà a costruirsi una sua rete avrà anche in questo campo buone opportunità di sviluppo. E se questo accade può diventare un problema per quel pubblico che non è stato in grado di fare sinergia con altri soggetti del territorio. Su questo fronte bisognerà anche ragionare sulla necessità di riaprire le contrattualizzazioni per le Rsa».
In un futuro che si spera prossimo riusciremo a garantire una presa in carico per tutti i malati cronici?
«L’obiettivo è quello, i direttori generali stanno lavorando affinché ciò avvenga. Devono sapere che li giudicheremo anche per questo e non solo in base a parametri che spesso sono di difficile lettura ai più».
Fonte: Corriere della Sera – Ed. Brescia