La pietra, ritrovata a Ronco nel 1816, ora è conservata al Capitolium di Brescia.
Ronco si appresta a recuperare la memoria e a celebrare un antico cavaliere romano, da inserire nel Pantheon dei concittadini illustri. È Sestio Valerio Poblicola, appartenuto a una potente famiglia e alla gens del poeta Catullo, anch’egli un Valerius. Sestio Valerio Poblicola doveva avere una grande villa proprio nel piccolo centro. Per rendere onore all’antico compaesano verrà esposta a Ronco una copia scultorea che riprodurrà l’epigrafe originaria, testimonianza dell’esistenza del cavaliere e senatore. L’operazione si inserisce nel programma di valorizzazione della cosiddetta Contea di Ronco, dove sono già state realizzate in passato statue commemorative e lapidi, collocate nel minuscolo centro franciacortino. Ma veniamo all’iscrizione da cui si dipartiranno le celebrazioni. La pietra con iscrizioni è oggi conservata nel lapidario del Capitolium a Brescia. In essa è scritto: «A Sestio Valerio Poblicola figlio di Sesto della tribù Fabia, cavaliere romano, che ebbe fornito dallo stato il cavallo, senatore dei municipii di Brescia, Verona, Trento e Nicomedia, al quale l’ordine senatorio bresciano decretò una statua equestre dorata e di funerali a spese pubbliche, ed a Clodia Procilla, figlia di Quinto, sacerdotessa della diva Plotina (pose) il figlio Sesto Valerio Poblicola Priscilliano». Un’epigrafe, che gli studiosi fanno risalire a un periodo successivo al 129 d.C., posta dal figlio per commemorare i genitori, due componenti di alto lignaggio della società romana dell’epoca. Ma perché era affissa proprio a Ronco? Per dimostrare la radicata presenza del cavaliere in questa zona, legato a proprietà, terreni e probabilmente alla sua grande villa romana che doveva sorgere non lontano dal nucleo cittadino di Ronco.
«Sestio Valerio Poblicola – spiega la ricercatrice storica Rinetta Faroni, che ha dedicato al cavaliere un capitolo del suo libro “Brevi di storia. Passato remoto e prossimo a Gussago e dintorni” – era cavaliere e decurione, uno dei cento membri del Senato locale, uno dei primi bresciani assurti al rango senatoriale. Clodia Procilla, invece, era sacerdotessa per il culto di Plotina (moglie di Traiano e divinizzata da Adriano)». Poblicola era un cognomen molto diffuso tra la gens Valeria, molto probabilmente facente parte delle cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio. Una grande famiglia che ha scritto la storia di Roma, protagonista di molte vicissitudini. Vicissitudini che hanno interessato, nel piccolo, anche la lapide di Ronco, andata dispersa per più di mille anni e ritrovata per pura casualità, il 20 novembre del 1816, da Luigi Lechi, patriota e appassionato di storia. «Durante uno dei suoi numerosi spostamenti – scrive Rinetta Faroni – tra la città e la Franciacorta, Lechi nota a Ronco sul ciglio della strada comunale delle pietre che sostengono la sponda di un fosso parallelo al percorso sterrato. Il suo occhio esperto riconosce la pietra di Botticino e non un banale medolo». Fa quindi richiesta al Comune di poter prelevare i due pezzi di lapide con l’impegno di riparare la rottura causata. Questo reperto potrebbe tornare ora, sotto forma di riproduzione, nella sua originaria dimora, lungo la strada romana, proprio come era consuetudine per il popolo romano.
Federico Bernardelli Curuz
Fonte: Giornale di Brescia