Per il momento è totale il riserbo sulla necropoli romana emersa in un campo di Gussago. Il ritrovamento è avvenuto durante alcuni lavori di sondaggio archeologico, che sono stati compiuti prima degli scavi edilizi finalizzati all’ampliamento di una fabbrica vicina. Le sepolture, diverse decine, sono disposte senza un ordine apparente e con inclinazioni diverse e sono segnalate dalla massa scura delle ceneri del rogo rituale sul quale era posto il cadavere. L’intenzione del Comune e della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia Ufficio di Brescia è quello di non comunicare dati ufficiali, almeno fino al termine delle operazioni, previste per le prossime settimane. E ciò per motivi di sicurezza e per evitare che qualche cercatore clandestino possa tentare di forzare il blocco elettronico – il luogo sarebbe posto sotto lo sguardo di telecamere – violando quello che oggi è un luogo sacro per la conoscenza.
Non ci sono grandi tesori, secondo l’accezione comune – nonostante alcune tombe siano dotate di corredi -, ma il ritrovamento è molto interessante sotto il profilo archeologico e per la storia gussaghese. Al punto che i reperti potrebbero essere affidati al Comune di Gussago per mostre e approfondimenti didattici. La necropoli potrebbe essere stata il cimitero di una villa agricola, le cui vestigia non sono per ora note, forse non particolarmente distante dal punto in cui si sono svolti gli scavi, abitata durante il primo e il secondo secolo dell’Impero. I tecnici e gli esperti stanno operando in zona Mandolossa, a sud di Gussago, area dove sono stati eseguiti nei mesi passati anche altri scavi e fatti ulteriori ritrovamenti rilevanti, relativi a insediamenti – pare – di età romana e medievale, emersi durante i lavori di ampliamento di alcune delle fabbriche presenti nella zona industriale di Gussago. Anche in questo caso vige la massima segretezza: le scoperte e i reperti riportati alla luce dalla Soprintendenza in collaborazione con il Comune di Gussago e verranno rese note a operazioni ultimate.
Fonte: Giornale di Brescia