«Quando mi è stato proposto di mettere in scena un finto sequestro di persona in cambio di denaro mi è sembrata una follia, poi però ho pensato che poteva essere una soluzione per allontanarmi dai problemi, legati all’abuso di alcol e stupefacenti, che in quel momento avevo». Per la prima volta Alessandro Sandrini, 39enne di Folzano, ha ammesso di avere messo in scena il proprio sequestro di persona in Turchia nell’ottobre del 2016. Un rapimento che però poi si era trasformato in realtà: il bresciano era infatti poi stato trasferito in Siria e tenuto prigioniero fino al maggio del 2019 da un gruppo di jihadisti.
La «confessione» l’ha resa durante il processo (si sta celebrando davanti alla corte d’Assise di Brescia) a carico di un egiziano di 52 anni, Ibrahim Ashem Mohamed Hashad, ritenuto uno dei componenti della banda che avrebbe preso parte al sequestro. Già assolti, in primo grado e con il rito abbreviato (il processo d’appello è fissato per l’11 ottobre) altri tre imputati: l’albanese Fredi Frokaj (43enne di Flero), il suo connazionale Olsi Mitraj (42 anni di Gussago) e il 55enne bresciano (di Mazzano) Alberto Zanini. Proprio Mitraj e Zanini (Sandrini li aveva conosciuti in quel periodo frequentando un locale di Concesio) avrebbero, nel settembre del 2016, avvicinato Sandrini per proporgli l’«affare».
«Prima a cercare di convincermi è stato un ragazzo straniero, Aziz – ha raccontato Sandrini ai giudici -. Mi ha detto che avrei ottenuto 200mila euro in cambio, qualche giorno dopo Mitraj mi ha detto che me ne avrebbero dati 500mila. Mi dicevano che il riscatto lo avrebbe pagato lo Stato. Quel denaro però, quando sono stato liberato, non l’ho visto come non ho più avuto contatti con chi nel settembre 2019 mi ha fatto la proposta».
Sentito come testimone, Sandrini per quella vicenda è stato prosciolto dalle accuse di simulazione di reato e truffa grazie alla prescrizione: il 39enne di Folzano ha ripercorso gli oltre tre anni di prigionia. «Sono arrivato ad Adana, in Turchia, il 3 ottobre 2016, il viaggio mi era stato pagato e così anche il soggiorno in albergo – ha raccontato -. Il giorno dopo ho incontrato la persona che doveva portarmi nel luogo dove avrei dovuto rimanere prigioniero, una casa ad Antiochia. All’alba del giorno dopo sono stato nuovamente spostato arrivando, come ho scoperto successivamente, in Siria. Lì ero detenuto in una cella 3×3 e controllato da jihadisti armati. Ho trovato la forza di resistere grazie al Corano. Sono stati i carcerieri a darmene una copia in italiano. L’ho letto 15 volte e nel marzo del 2017 ho deciso di convertirmi all’Islam». Sandrini ha poi raccontato anche delle telefonate alla madre e dei video in cui chiedeva l’intervento dell’Italia per la sua liberazione. «Chi mi teneva prigioniero mi diceva che mi avrebbero ucciso». Il suo racconto in aula si è poi chiuso con la fase della liberazione e la «detenzione» in mano alle forze siriane oppositrici del presidente Assad che l’avevano «strappato» dalle mani dei rapitori.
Una ricostruzione completamente diversa da quella fatta da Sandrini nel maggio di 5 anni quando è stato sentito dagli inquirenti una volta rientrato in Italia. «Il 3 ottobre sono uscito dall’albergo e sono stato aggredito, narcotizzato e rapito», aveva detto. Parole che il pubblico ministero gli ha contestato. «Qual è la verità?», gli ha quindi chiesto il presidente della corte d’Assise, il giudice Cristina Amalia Ardenghi. «Quella che ho detto oggi in aula – ha risposto Alessandro Sandrini -. Quando sono arrivato in Italia ho raccontato ciò che avevo detto anche alle autorità siriane dopo essere stato preso in consegna da loro. Dopo quel lungo periodo di prigionia non avevo più alcuna fiducia nelle persone». Il processo riprenderà il prossimo 3 dicembre con altre testimonianze in aula.
Paolo Cittadini
Fonte: Bresciaoggi