L’edificio, danneggiato dal terremoto, verrà restaurato con una spesa di 320mila euro.
Compra un quadrato di tetto della chiesa: legherai il tuo nome alla storia della frazione e contribuirai a salvare l’antico edificio di culto.
Partono così a Ronco di Gussago, tra raccolte popolari e finanziamenti istituzionali, i lavori di restauro della chiesa di San Zenone, danneggiata dalle scosse di terremoto del giugno scorso, che sono andate a sommarsi a fenomeni tellurici passati che ne hanno indebolito la struttura. Il restauro della chiesa settecentesca, affidato all’architetto Stefano Molgora e all’ingegnere Stefano Bergomi, comprenderà opere di consolidamento statico e di miglioramento sismico, lavori per il risanamento causa infiltrazioni e umidità, opere idrauliche e il consolidamento del campanile.
Gli interventi comporteranno una spesa di 320.000 euro. A prendersi parziale carico di tale cifra la Cei (Conferenza Episcopale Italiana), il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Provincia di Brescia, la Fondazione Comunità Bresciana e la Fondazione Italiana Tabaccai.
I lavori dovrebbero durare circa 6 mesi e inizieranno con il restauro conservativo del tetto: le strutture lignee della copertura, infestate e indebolite da tarli, infiltrazioni d’acqua e dai terremoti, necessitano di un tempestivo intervento.
Diversi fenomeni naturali sono la causa dell’indebolimento della chiesa, ed è curioso che San Zenone sia ricordato per aver salvato la cattedrale da lui costruita e a lui intestata a Verona, quando un improvviso straripamento dell’Adige sommerse tutta la città. Le acque arrivarono alla cattedrale ma si sarebbero arrestata improvvisamente.
A Ronco, San Zenone ha bisogno d’aiuto e la parrocchia sta cercando ulteriori contributi per poter raggiungere finalmente la quota prefissata per il restauro. È possibile acquistare 1 mq di tetto a 400 euro e 1 mq di edificio a 900 euro. Per contribuire al restauro si è anche pensato di coinvolgere gli studenti delle scuole d’arte, per il più prezioso e concreto dei «do ut des».
Federico Bernardelli Curuz
Fonte: Giornale di Brescia