Con l’arrivo dell’autunno sulle tavole bresciane si rinnova l’appuntamento tanto atteso con il gusto di una tradizione antica… quella dello spiedo bresciano. Una tecnica di cottura lenta, diventata sinonimo di un territorio, che affonda le sue origini in tempi lontani e in una cultura legata alla caccia. Tempi in cui il sacrificio degli animali era un atto necessario alla sopravvivenza, che non ledeva equilibri naturali. Da alcuni anni l’uso nella ristorazione degli uccellini a becco fine è stato limitato da leggi e controlli, ma il sapore caratteristico dello spiedo è rimasto unico, perché sono molti i componenti che nella preparazione del piatto concorrono al buon esito finale.
Nel 2010 è stata introdotta anche la Denominazione Comunale (DeCo) per i Comuni di Gussago e di Serle a testimonianza della tipicità di questa ricetta. Ovviamente, l’arte di cuocere la carne sul fuoco accomuna tutti i popoli della Terra. Che cosa rende allora la proposta bresciana tanto unica e ineguagliabile? Per provare a dare una risposta ci siamo affidati a mani esperte: quelle di un “bresciano doc” Marino Marini, cultore della cucina bresciana autentica e non solo, cuoco, giornalista e autore di molte pubblicazioni gastronomiche. “I bresciani dovrebbero andare orgogliosi del loro spiedo – dice Marini – un vero e proprio monumento alimentare, simbolo di una civiltà antica. Le sacrosante limitazioni moderne ne cambiano il gusto ma non l’importanza: è uno dei piatti più antichi della storia dell’uomo”.
Un piatto ricco di storia, dunque, che si eleva ad arte. “Non c’è un solo bresciano che non si vanti di saper fare il migliore degli spiedi o di conoscere la trattoria o il ristorante che prepara il miglior spiedo in assoluto” sottolinea Marini. Ma quale spiedo? Nel territorio bresciano non c’è un solo modo per preparare polenta e osei, Marini classifica almeno quattro tipologie che corrispondono ad altrettante zone della provincia bresciana in cui lo spiedo si arricchisce di elementi, man mano che ci si allontana dalla città: Brescia, Franciacorta e Valtrompia la prima zona, poi quella della Bassa Bresciana, della Valtenesi fino al Basso lago, e infine quella della Valsabbia, a nord di Salò e nell’Alto Garda.
Per valorizzare pratiche e varianti Marini aveva anche ipotizzato la creazione di una “Strada dello spiedo bresciano”. Un percorso ad anello che attraversa tutti i luoghi della provincia in cui questo piatto è protagonista, indicando nel comune di Gussago la partenza ideale per un viaggio nel gusto. Una proposta che fino ad ora purtroppo è rimasta solo sulla carta, ma ha conquistato noi de Il Quinto Quarto. Così ci siamo lasciati guidare dalla suggestione. Per insegnarci le regole del rito Emanuela Rovelli, chef patronne dell’Osteria dell’Angelo e figura di riferimento della ristorazione bresciana, ha incaricato il figlio Federico, che nella videostoria pubblicata sul blog prepara lo spiedo secondo il disciplinare De.Co. di Gussago. Mani giovani, ma già espertissime! “Un piatto che deve la sua fortuna alla capacità di aver conservato nel tempo il suo gusto caratteristico sostanzialmente semplice, ma molto individuale” dice la presidente di Arthob anche lei impegnata fino al 9 dicembre nella rassegna “Lo spiedo scoppiettando“, organizzata dall’associazione Ristoranti di Gussago, nel proporre ogni giovedì un menu a base di spiedo e polenta a prezzo calmierato.
Ma se è vero che il palato dei bresciani conosce da sempre la magia dello spiedo, non tutti invece conoscono l’evoluzione nel tempo dello strumento per cucinarlo. Lacuna colmata, in parte, dal museo dello spiedo allestito a Prevalle a Palazzo Morani. Un progetto patrocinato dell’Azienda Ferraboli la cui fortuna è nata proprio con questo oggetto nel 1964 e che ha contribuito alla ricerca, restauro e conservazione di alcuni esemplari in mostra, davvero interessanti. Pezzi d’epoca, donati al Comune. Evoluzioni fatte di dettagli, anche piccoli dal 1800 ai giorni nostri, frutto dell’intelligenza e della creatività di artigiani innovatori che hanno saputo rispettare anche la tradizione. Da Leonardo a Ferraboli il tema della collezione, perché fu proprio il genio toscano, grande appassionato di cucina, a mettere mano e cervello anche su questo tema progettando il primo girarrosto. “Dare vita a questo progetto – dice Mimma Ferraboli anima commerciale dell’azienda – significa contribuire a salvaguardare un’importante testimonianza di cultura industriale e mantenere viva la memoria storica di uno dei piatti più amati della cucina popolare bresciana”.
Fonte: Bresciaoggi
Per approfondire:
– ilquintoquarto.com