La carta è custode di ricordi, racconti, pezzi di storia e di memoria. Tra le mani sapienti di Licia Zorzella, restauratrice di opere su carta, questi fragili frammenti di carta trovano nuova vita. Nel suo laboratorio artigianale, “Frammenti di Carta”, situato in via Pascoli in città, ogni documento, pagina, opera, non è solo materia da restaurare, ma frammento di vita, testimone silenzioso di epoche passate.
Come si è avvicinata al mondo del restauro?
L’imprinting verso l’arte già c’era, alle superiori ho frequentato il Calini sperimentale artistico, mi piaceva la chimica legata all’arte. A principio pensavo di fare la fumettista, poi la grafica, ma è negli anni ’90 che mi sono appassionata al restauro durante i lavori alla parrocchia di Gussago. Mi è nata la voglia di salvare opere d’arte, perciò ho fatto un corso di restauro in decorazioni murario-architettoniche e materiale lapideo a Mantova. Poi ho proseguito alla scuola di Botticino dove iniziava il primo anno di restauro su carta. Infine, ho fatto diversi corsi di aggiornamento per poter lavorare su vari oggetti e imparare nuove tecniche, tra cui, ad esempio, uno sulle tecniche giapponesi organizzato dall’università Carlo Bò di Urbino; un corso sull’utilizzo delle carte coreane Hanji e uno sugli adesivi. Ho vinto più borse di studio tra cui una promossa dal ministero dei beni culturali giapponesi, che mi ha permesso di partecipare ad un corso a Berlino sui rotoli e sui paraventi giapponesi. Mentre a Londra è stata presentata una mia ricerca sulle carte coreane. Ai miei tempi si diventava restauratori anche solo a bottega; dal 2009 è necessario seguire un corso specifico. Ritengo comunque molto utile anche il praticantato, perchè è con l’esperienza che metti a frutto quello che hai studiato.
Una teoria che ha insegnato?
Per tanti anni in accademia Santa Giulia, LABA ma anche per lo IED cercando di trasmettere la sintonia che si crea con la carta, ad un certo punto la capisci guardandola e toccandola e sai cosa fare.
Mi diceva che la carta in qualche modo “è tornata a lei”.
Si, credo che questa affezione e sensibilità verso il materiale cartaceo possa derivare dall’infanzia, perché mia madre aveva una cartoleria e io, non avendo fatto l’asilo, ero sempre con lei in negozio. Sono nata nella carta.
Parlando dell’attività, quando e come è cominciata?
Durante gli studi ho lavorato per un paio di anni nello studio con la mia ex insegnante. Nel frattempo ho fatto altre esperienze di stage con la scuola e conosciuto una restauratrice di Roma, con la quale poi ho lavorato due anni. Nel 2003 ho aperto un laboratorio con una collega, poi dal 2010 ho iniziato a lavorare qui da sola. Due donne che mi hanno insegnato due approcci: uno più innovativo con materiali sintetici, l’altro legato ai materiali naturali, ad esempio le colle. Entrambe desumendo dalle tecniche giapponesi che sono la base del restauro su carta. Con il tempo ho imparato a mixare queste due tipologie a seconda dell’oggetto che ho di fronte, anche se ho maggiore predisposizione al metodo scolastico.
Chi sono oggi i suoi clienti?
Si lavora tanto per gli enti pubblici, ad esempio fondazione Brescia Musei, il Teatro Grande, il Gabinetto di disegni e stampe a Verona, la Raccolta Bertarelli e il Gabinetto dei disegni di Milano. Poi ci sono i privati che hanno, oppure collezionisti, galleristi artisti, antiquari. Con gli artisti è divertente e complicato perché vai a risolvere questioni di montaggio, ad esempio tensionare o mettere su tela grandi formati.
Come si svolge il suo lavoro?
Il restauro inizia studiando ciò che hai di fronte: lo stato di conservazione dell’opera e la sua collocazione. Si procede con la pulitura a secco utilizzando gomme o spugne wishab per rimuovere polvere e impurità. Si testa la solubilità di inchiostri, macchie e scotch per determinare il tipo di lavaggio, che può variare dall’immersione in acqua calda a 30 gradi a metodi meno invasivi come gel rigidi oppure tavoli aspiranti, feltro di cotone e membrane. Dopo la pulizia e l’asciugatura, si passa al restauro, rinforzando la carta degradata con fodere e riparando i fori con carta giapponese cercando di avvicinarsi alla grammatura originale. Il ritocco viene eseguito con acquerelli per ripristinare, se richiesto, l’aspetto originale. Per le opere pubbliche, le attività sono concordate con la direzione dei lavori, mentre i privati generalmente chiedono un restauro totale. La parte creativa del restauro risiede nelle tecniche impiegate.
Le è mai capitata, da parte di un cliente, una richiesta molto particolare?
Tante! Da un Comune mi avevano chiamata perché da un ceppo commemorativo avevano trovato un foglio di carta da aprire e salvare, ma purtroppo non sono riuscita ad aprirla. Ho recuperato degli Andy Warhol dimenticati in cantina. Succedono cose particolari, come rimuovere tele o controsoffitti e trovare opere nascoste, a volte ancor più belle di quelle in mostra. Anche se la parte più bella del mio lavoro è entrare in luoghi non aperti al pubblico e toccare con mano cose eccezionali.
C’è qualcosa ancora che vorrebbe ancora fare?
Mi sarebbe piaciuto tantissimo lavorare al cartone di Raffaello dell’Ambrosiana. Vorrei essere inclusa in uno di questi grandi restauri oppure interventi legati al bonus ristrutturazione dove ci sono carte da parati da recuperare, in particolare le panoramiche, sono le mie preferite.
Le capita mai di costruire qualcosa?
Certo, al di là del restauro puro, se non c’è ad esempio la cornice, bisogna trovare un modo di conservare l’opera. Quindi costruisco scatole, cartelle a falda, camicie, cartelle rigide, album, passepartout tutti realizzati su misura per salvaguardare il contenuto.
Giada Ferrari
Fonte: Bresciaoggi