Dèl tabachì per la sal, i sonfanèlì e ‘l tabàc

Pacchetto Sale

Il sale non c’era in tutti negozi, si doveva andare dal tabaccaio (èl tabachì) con un sacchetto di tela bianca che il negoziante metteva sopra una bilancia, del tutto speciale, di vetro che era utilizzata solo per il sale e lo pesava. Tornati a casa il sale veniva posto in cassetta di legno (la salaröla) appesa nei pressi del camino, affinché si mantenesse sempre asciutto; infatti, come si sa il sale attira l’umidità. Ricordo quando vi era in commercio soltanto il sale grosso, ma sovente serviva quello fino per salare le pietanze, in quel caso lo si pestava nel mortaio oppure, in assenza, si spargeva il sale in grani grossi su di una carta ben asciutta (quella detta dello zucchero o quella gialla color paglia che si usava, un tempo, per incartare la carne) e facendogli rotolare sopra una bottiglia di vetro con leggera pressione si …giungeva a quello fino.

Dal tabaccaio si compravano i fiammiferi, asticciole di legno con una capocchia di zolfo, il tabacco sciolto e le relative cartine per confezione, artigianalmente, le sigarette, altri, i più anziani compravano il toscano doppio, da tagliare in due per mezzo di quell’apposita taglierina detta navicella, che faceva bella mostra sul bancone, altri ancora acquistavano il tabacco da pipa.

<<Ricordo che anche a Navezze una signora, con suo marito ed il figlio, aveva “èl tabachì”, che si trovava al centro della Contrada, frontista della chiesa frazionale, sussidiaria, di San Vincenzo Ferreri; infatti, soprattutto la Domenica, prima e dopo la Messa il negozietto era assai frequentato. Correvano i primi anni Cinquanta del Novecento. Di solito, quando i genitori non potevano, il compito di recarsi alla “Privativa” – con l’insegna di una cubitale “T” – era affidato ai ragazzini, anche alle femmine: “Fa ‘na corsâ zo dè la Marietâ, al tabachì, a cunprà la sal è ‘na scàtulâ dè sonfanèli. E via, senza tante lamentele e in un quarto d’ora si era di ritorno, anche perchè si era sempre in movimento e quindi ben allenati>>.

In paese vi erano altre “Privative” frazionali, almeno una per ciascuna contrada gussaghese, però molto lontane per i navezzesi: la più vicina, forse, quella di Piedeldosso. L’essere avviati al “Tabachì” comportava prontezza e memoria nel ricordare gli elementi della spesa commissionataci, anche se sempre limitati. <<Un giorno, inviato – per la prima volta, a soli cinque anni – a comprare una scatola di noti fiammiferi di legno, “sonfanèli”, quelli per accendere il fuoco nel caminetto, partii saltellando giulivo, diretto da Marietta, sperando di non trovarmela; per tutti i 300 metri del percorso andai ripetendo: ‘na scàtulâ dè sonfanèli, ‘na scàtulâ dè sonfanèli, ‘na scàtulâ dè sonfanèli”, ‘na scàtulâ dè sonfanèli. Giunto innanzi al bancone dèl tabachì mi ritrovai la nota banconiera la quale con fare cipiglioso, senza colpo ferire e nel modo tipico navezzese, m’interrogò: “chè öt te, Nano?”. La mia risposta, se da un lato fu immediata, dall’altra risultò però lontana dalle consegne ricevute: ‘n pachèt dè sal!>>.

Lascio ai lettori immaginare l’accaduto quando fui di ritorno a casa, …col sale, sì, ma senza i necessari, indispensabili, fiammiferi. Quando si dice che la soggezione (timore) fa “Quaranta”. Cose di una volta.

A cura di Achille Giovanni Piardi

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