Torchiatura delle vinacce fermentate a Gussago negli anni Sessanta

Torchiatura delle vinacce fermentate negli anni sessanta

Torchiatura delle vinacce fermentate. Anni sessanta del Novecento a Gussago, in via Roma/Piazza.

Addetti alla “stangå”, barra del torchio? – …ghè dè sta atènti al ciòch dè le curtèle! …primå de dagå ‘ndre a la stangå dèl torcol.

A sinistra, vedendolo in volto, uno dei fratelli Mingotti titolare con i fratelli del cortile di via Roma, a destra e di schiena/profilo è evidente la figura di Giulio Cerlini dei detti Brü, sposato ad Angela Cominelli, coniugi – tanto garbati, ma decisi – dimoranti nell’aia agricola di via Stretta n. 1 (oggi cortile assai bene ristrutturato). In effetti, con riferimento alle “curtèle” del torchio, veri e propri coltelli accuminati che giravano dentro una corona forata mossi dall’azione della barra, bisognava attendere, quasi un …auscultare, il suono delle stesse/degli stessi le/i quali indicavano se si dovesse continuare ad insistere con la barra del torchio per un verso o se fosse venuto il momento “dè dagå al cuntràre”, facendo riferimento al fatto che la spinta della barra del torchio da parte degli addetti voleva dire far abbassare il peso del castelletto con i suoi legni, caricati in misura necessaria a seconda del volume dei raspi e delle bucce degli acini da torchiare, atto a comprimere le vinacce in virtù del principio che tutto “girava” attorno ad una enorme e centrale “vite senza fine”.

Dunque l’azione doveva essere: “prima ‘n nacc è dòpo ‘n dré” (prima in avanti e poi all’indietro) e gli addetti con perfetta attenzione ed al richiamo del suono coltellino una volta spingevano mentre l’altro o gli altri, anche qui il numero era in ragione del volume delle vinacce poste in pressione sotto il castelletto e entro “èl rèstèl”, e la successiva tiravano mentre l’altro o gli altri agivano spingevano aiutandosi nello sforzo, per terminare quando l’azione pressoria non avrebbe più avuto alcuna giustificazione in termini di risultato, poichè “dè turculàt ‘n gniå piö förå/’n gniå piö fò!”. Il percolato dovuto alla pressione subita dalle vinacce scendeva tra un’assicella e l’altra “dèl rèstèl” (cancello o cancelletto di legno tenuto da fasce metalliche) circolare (ripartito in due parte rimovibili) si raccoglieva nella vaschetta metallica che contornava l’intero torchio per fuoriuscire da quel boccione che si vede al centro di uno dei lati del torchio scendendo dentro l’apposita tinozza di legno dalla quale si raccoglieva con “èl sicèt” (un rotondo recipiente di legno dotato di un’unica impugnatura verticale esterna) strumento a mezzo del quale si versava il percolato (turculàt) in damigiane (busù) attraverso il grande imbuto detto “turtaröl”, come ben rappresentato dalla foto opera di Enzo Sabattoli. I raspi, le bucce passavano successivamente alla distillazione.

Fonte: Achille Giovanni Piardi

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