…toss, tusètå, la ciamå la casètå!

Carmela DORI e Luigi FAITA Camulì

Carmela DORI, madre dei tanti figli FAITA detti Camulì, abitò a Navezze, nell’ultimo cortile posto sul lato di sinistra di via San Vincenzo, poco prima di giungere a via Carrebbio; erano i primi anni Cinquanta del Novecento. Dimorando la mia famiglia nell’antico cortile dei Piardi, poi Zanotti indi Gozio, attiguo a quello di Carmela – donna non delle nostre parti, ma del bellunese – soleva ripetere questo adagio ammonitore nella forma legata al suo veneto linguaggio materno: …toss, tosèta: la ciama la casèta! Carmela fu dei Dori sorti nel 1300 all’isola di Torcello, poi a Venezia indi nel Veneto.

Quando, noi piccolissimi, giocando nel suo cortile – ora ancora noto come “chèl di Bèi” – si era, poi, indotti a tossire per leggero affaticamento, Carmela scendendo quella impervia scala del primo piano, dove vi era la loggia in legno e le retrostanti camere, che magari aveva appena terminato di riassettare, nell’udire il nostro leggero tossire, vuoi per leggera, scherzosa, presa in giro, come per dire: “che tosse è quella?” Vuoi per ammonimento ed affinché avvertissimo di ciò nostra madre, soleva prontamente uscirsene, nel suo dialetto, come ricordato sopra, con: …toss, tosèta: la ciama la casèta! (a Navezze, come nel titolo, …toss, tusètå: la ciamå la casètå!).

Affermazione ed ammonimento difficile da comprendere all’età di tre/cinque/sei anni. Tanto meno pensare che quei nostri semplici colpi di tosse volessero significare per Carmela, forse anche nella realtà di una diagnosi medica, l’inizio di una bronchite che avrebbe potuto degenerare in polmonite, in assenza di immediata cura specifica. Forse anche l’avvisaglia di una difterite, a Navezze nota come “Mal dèl grup” (…in realtà CROUP: “malattia dell’apparato respiratorio solitamente innescata da un’infezione virale acuta delle vie aeree superiori”) ed anche noi, che qui ora scriviamo, l’apprendemmo in questi termini più popolari, pur sempre ostici. Certo era pericoloso dal momento che la penicillina, quale antibiotico, era ancora …lontana dal poterne disporre, almeno per una famiglia con origini contadine, come la nostra/la mia e quella di quasi tutti noi bambini, considerando che erano assai pochi i capi famiglia che lavoravano a Brescia: alla Togni, alla Caffaro, alla Franchi – Gregorini poi Sant’Eustacchio od alla OM. Inoltre, chi di noi – bambini od anche infanti – comprendeva tutto ciò? [La Penicillina già l’avevano nello zainetto tattico i soldati americani sbarcati in Italia (Gela in Sicilia) nel luglio 1943; ma le nostre povere famiglie ancora pativano lutti causati dalla bronchite trascurata e grave infiammazione della pleura …]

Poi, tornando a casa cercavamo di non tossire, forse per paura del dottore, per non far preoccupare i genitori e perché quel termine là che chiudeva, in rima, le parole di Carmela dei Faita un significato “difficile” e finale lo aveva: casètå! Infatti quando vi era un funerale noi correvamo a vedere, constatare con i nostri occhi innocenti l’accaduto e osservare la salma dentro la casètå, cassa, bara. Bara: altro termine difficile non in uso nel gergo della gente adulta di Navezze, men che meno nel nostro povero parlare, scarsamente ricco di vocaboli. Povero di parole poiché frutto dell’averlo “raccolto” dal linguaggio scarno dei nostri genitori. Un linguaggio fatto di poche parole, conciso, ma non per questo privo di valore pregnante, anzi! Lontano dal focolare domestico si sentivano parole nuove senza capirne il significato; le uniche che trovavano una pronta spiegazione erano quelle imparate in casa od anche fuori, ma solo se provenienti dai più anziani i quali avevano la cura di rendercele, oltre che assimilabili, comprensibili e da riporre, mano a mano, nel nostro vocabolario in costruzione. Mi accorgo solo ora – in questi ultimi 16 anni in modo particolare – di quante parole, vocaboli si è arricchito il personale vocabolario. Prima, a tal riguardo, non davo tanto peso alla domanda che mia mamma, con certa sollecitudine, mi poneva: “Vülarès saì ‘ndo ta set ‘nat a töle töte chèle paròle le?”.

Se un bambino fosse caduto ammalato le donne, soprattutto le madri, del cortile, dell’aia nostra area giuochi in un battibaleno sarebbero accorse per sincerarsene, per dare consigli ed aiuto attingendo all’esperienza personale, magari per situazione analoga sperimentata anni prima, qualche tempo addietro con i di loro figli ora già oltre i sette-otto anni d’età. La vita sociale del cortile contadino era proverbiale; viaggiava sull’impellente necessità, sullo: “oggi a te a te, domani a me!”. E non era soltanto un adagio popolare, bensì frutto di quell’amicizia sociale, quasi incombente! “Fratelli nella fraternità universale”, anche se l’universalità era, per forza di cose, limitata al caseggiato che dava sull’aia comune. La vita poteva essere anche e tutta e solo lì, ma era vita, vita sociale! Tutti sulla stessa barca in quel piccolo mondo campagnolo, magari composta da uno stuolo di 15, 20 bambini oltre agli adulti di quattro, cinque, sette nuclei familiari. Una piccola civiltà solidale dedita alla preservazione e cura di ogni vita, a partire da quella dei piccolissimi. Si era vicini, assai vicini, senza attendere l’era della (attuale) globalizzazione, poiché si era fratelli. Oggi siamo globalmente più vicini, non per questo anche più fratelli. Anzi! Di quella società umana noi non fummo soci, ma figli! [La differenza tra soci a figli è passare dalla ricerca dell’utile all’amore senza limiti].

Poi, forse un giorno dell’anno 1956, la nostra osservatrice e gentile ammonitrice Carmela scomparve dalla nostra immediata disponibilità, da quell’area di gioco – solo parzialmente pianeggiante mentre l’altra era formata dalla rampa di uscita (con ai lati i necessari quanto ruvidi muretti di contenimento, sui quali ci sbucciavamo le ginocchia) per accedere al piano stradale – da quel suo cortile per essere andata a vivere, aldilà del torrente La Canale, in una delle case della località denominata Mincio, dove per arrivarvi si transitava su di una passerella pedonale o guadando, cento metri più a nord, il menzionato torrente. (Mincio = Luogo o slargo dell’alveo torrentizio/fluviale nel quale le acque, usufruendo di più ampio spazio, allargandosi, decantano i residui e riducono la loro forza nello scendere alla pianura, salvaguardando anche gli argini del successivo corso dalla diuturna erosione).

[CROUP = Nel mondo occidentale la causa principale del croup era la difterite, ma ciò oggi assume soltanto una connotazione storica, grazie al successo della vaccinazione e al miglioramento degli standard di vita e di igiene. La difterite è una malattia tossinfettiva acuta e contagiosa, provocata da un batterio che infetta le vie aeree superiori (e talora la cute). La tossina che il batterio produce è responsabile di complicanze per il cuore e paralisi dei nervi cranici ed altro ancora].

La difterite anche al tempo degli anni Cinquanta era una malattia infettiva soggetta a denuncia obbligatoria entro le 12 ore dall’accertamento. Immaginiamoci quella madre, quel genitore cui fosse toccata questa dura realtà: oltre al danno per il proprio bambino, anche la “beffa” derivante dalla pubblica denuncia! Nel nostro cortile di un caso venimmo a sapere… [Si trattava di una condizione relativamente comune che colpiva circa il 15% dei bambini più comunemente tra i 6 mesi e 5-6 anni di età].

Fino a poco più di 60 anni fa il 3 febbraio era un giorno speciale: Festa di San Biagio. La gente si recava, in moltitudine, a far benedire, per mezzo delle due grosse candele incrociate, la gola. In verità tutte le vie respiratorie. In quel tempo non esistevano, o non si era in grado di acquistarne, tutte le medicine e non sussistevano tutte le scoperte scientifiche attuali ed il problema della salute era al primo posto nella mente delle persone, delle madri per i loro bambini. Tutti sapevano cosa volesse dire “èl mal dèl grup”. Oggi non saprei dire; forse qualcheduno vi si reca ancora. Dovremmo anche e soprattutto di fronte allo spreco attuale riflettere. Così un noto detto: “Nessuno conosce realmente il valore della salute se non quando la sta per perdere o l’ha persa. Solo allora le persone si affidano ai Santi per riacquistarla. Mentre sarebbe meglio che un piccolo sforzo lo facessero anche prima, quando stanno bene”.

Il mondo è cambiato, non sappiamo bene come, ma è cambiato! Questo che stiamo vivendo da 15 mesi (febbraio 2020) è un periodo lungo di epidemia, pandemia. Speriamo insegni, ci insegni ed insegni convincendo anche i più riottosi. Giusto, a questo punto, fu l’avvertimento, ammonimento per noi bambini di quel tempo lontano quasi 70 anni – anche se un po’ ironico -– della nostra Carmela di cara memoria.

A cura di Achille Giovanni Piardi

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