
Zucchetti cambia registro, puntando sui giovani: lasciata la barca, fa l’allenatore. «Avevo già allenato la Porro nel 2014 per 18 mesi – racconta Zucchetti – in primavera quando ho deciso di smettere con le regate, la Fiv mi ha invitato a occuparmi della squadra Under 19 dei 29er. Primo raduno a luglio e poi li ho seguiti per il mondo. A me piace tantissimo allenare sul campo. Spero di occuparmi sempre delle classi giovanili e non di quelle olimpiche».
Se fossero alpini e non allenatori di vela, uno sarebbe rispettosamente il Vecio e l’altro immancabilmente il Bocia. In verità, pure in mare, le gerarchie basata sull’età (e quindi l’esperienza) sono importanti. Fa piacere scoprire che il concetto si addice ad Angelo Glisoni e Pietro Zucchetti. Hanno in comune i natali bresciani: il primo, del 1957, è iseano quanto il pesce persico e Montisola, il secondo, classe 1981, è di Gussago ma ha scalato il vertice partendo dall’Ans, il circolo del “Glisù” e di tanti altri campioni. Si va dal povero Giorgio Zuccoli, il più bravo ab aeterno, fino alla ragazza del giorno, Margherita Porro che ora gareggia per il Cv Arco ma ha tirato i primi bordi davanti a Sulzano.
Glisoni e Zucchetti – entrambi prodieri – sono arrivati a essere bravi allenatori dopo una carriera nelle classi olimpiche, tra l’altro veloci entrambi. Angelo è stato scudiero perfetto per Zuccoli, vincendo pure un titolo iridato sul Tornado ma “bucando” l’Olimpiade 1992. Pietro ne ha fatta una in più: nel 2012, con il 470, conquistando la medaglia di legno a prua del romano Gabrio Zandonà (il bronzo sfumò per un solo punto) e nel 2016 con il 49er, convocato all’ultimo e finendo senza lode e senza infamia. L’obiettivo della terza campagna olimpica – svanita lo scorso inverno, non per colpa sua – lo ha spinto a iniziare la nuova carriera.
«Avevo già allenato la Porro nel 2014 per 18 mesi, saltuariamente, per mollarla in quanto inseguivo i Giochi di Rio de Janeiro – racconta Zucchetti – in primavera quando ho deciso di smettere con le regate, la Fiv mi ha invitato a occuparmi della squadra Under 19 dei 29er. Primo raduno a luglio e poi li ho seguiti per il mondo». E proprio l’iseana Porro ha conquistato titolo europeo e mondiale. «Margherita è un talento che nella scorsa stagione ha trovato un’eccellente prodiere e un club che la segue molto bene. Stiamo lavorando per renderla più completa, ma è diversissima da Giulia Conti e i risultati nel 2017, per quanto ottimi, sono il punto di partenza». Un po’ vale anche per lei, Zucchetti. «Lo so benissimo, ho appena iniziato e devo imparare a sopportare la parte gestionale e burocratica. A me piace tantissimo allenare sul campo, anche perché finalmente si è capita l’importanza del nostro ruolo: la vela si è alzata di livello sensibilmente e quindi ha bisogno di allenatori nella stessa misura degli altri sport. Detto questo, spero di occuparmi sempre delle classi giovanili e non di quelle olimpiche».
Riferiamo l’ultima frase a Glisoni e si mette a ridere. «Non ha torto, anche a me piaceva di più allenare i giovani, fosse destinerei i più bravi tecnici a loro perché lavorare con i trentenni, magari già con medaglie, spesso non è facile». Il compagno del mitico Sebino Express è arrivato al quarto quadriennio olimpico consecutivo: è stato coach della squadra azzurra per Atene 2004 e Pechino 2008, poi ha varcato il Brennero e ha guidato il team del Nacra 17 a vincere la prima medaglia nella storia della vela austriaca, evento che l’ha reso celebre a Vienna e dintorni. Ora sta cercando di ripetere l’impresa. «Allenare è un passaggio naturale per un velista, tanto più oggi che si ha bisogno di persone preparate: l’aspetto tecnico non è un problema per chi ha un valido passato, ma l’abilità di trasmettere le cose sì perché devi usare un linguaggio diverso per ognuno, senza che si perda la coesione del gruppo».
Certo che vedere Glisoni con la divisa austriaca… «Sono sincero: quando ho iniziato ad allenare all’estero, soffrivo molto per la fine del rapporto con la Fiv, ora sempre meno. Qui prendo le decisioni e se a fine quadriennio non sono contenti, ti ringraziano e non rinnovano il contratto. In Italia è differente: non hai portato risultati e magari ti confermano, li hai portati e forse ti mandano a casa. Troppa politica, e non credo sia cambiato il metodo». Un consiglio al giovane collega? «Dimentichi di essere atleta, il passato vale solo perché capisci cosa sta succedendo in acqua e in banchina. Poi con il tempo s’impara a gestire le persone. Pietro ce la farà sicuramente».
Fonte: Corriere della Sera – Ed. Brescia